venerdì 6 ottobre 2017

Nazionalismo senza popolo...





di Angela Pellicciari (La nuova bq)

La vicenda dell’unificazione italiana durante l’Ottocento può aiutarci a capire cosa sta succedendo oggi in Spagna? Forse.
Qualche considerazione: l’anima del risorgimento è la massoneria, un’istituzione dal carattere internazionale, che si serve del mito del nazionalismo per scompaginare l’esistente privandolo della sua forza. L’unica istituzione che contrasta le mire egemoniche della massoneria è la chiesa cattolica, ergo la chiesa va distrutta, Roma espugnata, lo stato pontificio eliminato. Roma è da sempre caput mundi? Roma deve diventare caput Italiae.
Il nazionalismo in Italia è merce di importazione. In ordine cronologico sono Napoleone, Palmerston e Murat a spiegarci che la nostra nazione doveva risorgere dalla schiavitù in cui da tanto tempo giaceva (da quando era cattolica). La più convinta paladina del diritto agli stati nazionali durante l’Ottocento è l’Inghilterra, massima potenza coloniale. Il mondo liberale impone il diritto alla nazionalità ai soli stati cattolici: è nel nome del nazionalismo che gli Stati Uniti sostituiscono la Spagna nel controllo degli stati latino-americani appena liberati (la famosa teoria della “America agli americani” sostenuta nel 1823 dal presidente Monroe); è nel nome della libertà e dell’indipendenza che si persegue l’allontanamento dell’Austria dalla penisola italiana; è ancora nel nome della libertà e dell’indipendenza che verrà imposto –questa volta ad opera principalmente della Francia- il dissolvimento dell’impero austro-ungarico.
Per contrastare la propaganda liberale, per fare un minimo di chiarezza sull’uso delle parole e sul loro significato, nel 1846 il gesuita Luigi Taparelli D’Azeglio (fratello di Massimo e Roberto che, pur di differenziarsi dagli “illuminati” e ingombranti fratelli, aggiunge il cognome materno a quello paterno) scrive un piccolo testo molto chiaro: Nota sulla nazionalità.
A fronte della semplicità del ragionamento dello storico massone Giuseppe La Farina (1815-1863) che nella sua Storia d’Italia scrive: “il principio e la fonte di ogni diritto è il diritto naturale, del quale è parte essenziale il diritto nazionale”, “L’unità nazionale è la rivendica di un diritto naturale, e ciò che la natura ordinò dovere osservare”, Taparelli si domanda: il diritto agli stati nazionali è davvero basato sul diritto naturale? Si può invocare il principio della nazionalità in modo assoluto, a prescindere da qualsiasi altro tipo di considerazione? Si può parlare di schiavitù a proposito di qualsiasi governo sovranazionale?
No, è la risposta. Non si può invocare il diritto alla nazionalità prescindendo dalla giustizia e dal diritto: “Il vero, il supremo tornaconto de’ popoli come degl’individui, è sempre l’osservanza del dritto dell’ordine”; “la società non viene a rendersi schiavacon l’obbedire a principe straniero, finché questo la ordina a bene sociale di lei, conservandole l’essere suo, la sua lingua, le sue istituzioni ec. Giacché il vero schiavo […] egli è un uomo ordinato nell’essere suo al bene d’altro uomo, un uomo immolato al suo simile; onde una nazione ordinata al bene suo proprio non è schiava: schiava sarebbe se si ordinasse al bene privato del suo solo principe, ovvero al ben di popolo straniero”.
Contingente, sì, è nella sua applicazione il vocabolo Nazione, giacché chi non vede essere oggidì le Nazioni tutt’altre da quelle che furono? E chi assicura che non saranno fra un secolo tutte altre da quelle che or sono?”; “Tutto è contingenza, tutto eventualità nell’applicazione concreta dell’idea Nazione: toglietene la costantel’invariabile norma del dritto, e ridurrete ogni ordine pubblico a barcollare perpetuamente sopra l’onde burrascose delle vicende”.
Oggi in Catalogna una minoranza di cittadini vuole la repubblica. Una minoranza violenta che esplicitamente si rifà al comunismo e alla repubblica spagnola del 1936, con l’odio per la chiesa che li caratterizza. Una minoranza che per imporsi usa una bandiera: indipendenza nazionale. Diritto all’autodeterminazione.
Questa storia l’abbiamo già vissuta.