giovedì 22 giugno 2017

Con un pugnale conficcato in cuore



La Stampa

(Abraham B. Yehoshua) Un’interpretazione laica del sacrificio di Isacco da parte di Abramo. L’intervento dello scrittore  israeliano al festival Taobuk di Taormina.
In quanto scrittore israeliano la Bibbia è uno dei cardini della mia identità (nel bene e nel male) e  pertanto ho deciso di proporre una mia interpretazione personale e trasgressiva di uno dei miti  fondanti dell’identità ebraica: il sacrificio di Isacco, che fu di ispirazione al racconto della  crocifissione di Cristo. Tale mito non ha solo un significato religioso ma anche nazionale per gli  ebrei. Religione e nazionalità sono infatti strettamente intrecciate nella nostra identità.  [...] Una delle prime frasi che salta all’occhio nel leggere il brano biblico è la promessa fatta da Dio  ad Abramo: «Io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le  stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare». Questa profezia non si è avverata. La fede  ingenua e ubbidiente di Abramo in Dio, che lo aveva portato ad assecondare la richiesta di  sacrificare il figlio senza alcuna spiegazione ragionevole, avrebbe dovuto, secondo il racconto,  garantire a lui e ai suoi discendenti una progenie numerosa. Ma il numero degli ebrei è rimasto  limitato e, considerata la loro antica origine, la profezia si è forse avverata non tanto in termini di  incremento demografico quanto piuttosto di capacità di sopravvivenza.
Le domande
È questo un piccolo dettaglio non strettamente connesso all’essenza della storia ma che tuttavia dà  un’indicazione del tipo di dialogo fra Abramo e Dio, della sua forza e della sua concreta efficacia.  Se infatti i criteri di prolificità e di entità numerica di un popolo rappresentano un valore in sé –  almeno per il narratore del racconto biblico – ecco che la positiva riuscita della prova di Abramo  non ha portato l’auspicata ricompensa, forse persino il contrario. Prenderò ora in esame la vicenda  in sé, una vicenda che solleva gravi questioni morali. E, dicendo questo, non dico nulla di nuovo. Se io fossi un uomo di fede e credessi nell’esistenza di Dio che parlò ad Abramo e nella provvidenza  divina individuale, l’episodio del sacrificio di Isacco potrebbe sostanzialmente compromettere la  mia fede da un punto di vista etico, posto che l’assunto di ogni credo religioso è che Dio non è solo  fonte di vita, ma anche di moralità e di giustizia. È anche noto che la fede religiosa non dipende  unicamente da valori etici e, laddove esiste, è di solito in grado di superare qualunque tipo di  inibizione morale. [...]
Bene, torniamo all’episodio del sacrificio di Isacco. A mio parere chiunque crede in Dio ed è  convinto che Dio è anche fonte di moralità e di giustizia, si trova a dover affrontare un grave  problema dinanzi a questa vicenda. Il comportamento di Abramo è infatti moralmente orribile. È  vero che la prima frase: Dio mise alla prova Abramo addolcisce la brutalità di Dio, lasciando  intendere che il Signore non aveva intenzione di sacrificare Isacco senza una ragione ma solo di  verificare la devozione di suo padre. In ogni caso, però, Dio sarebbe da biasimare per aver condotto  questo tipo di esperimento. [...] Dio dimostra chiaramente di potere essere ingiusto. E senza tenere  conto per ora della reazione di Abramo, ecco che l’intenzione divina di sottoporlo a una prova  simile è moralmente distorta. Infatti anche dopo che si chiarisce che si trattava solo di una prova, il  fatto che ci sia stata una simile richiesta indica che potrebbero essercene altre, di tipo concreto. 
Modello immorale
La teoria secondo la quale la richiesta di Dio di sacrificare Isacco è stata fatta per insegnare ad  Abramo che nel giudaismo non ci sono sacrifici umani non è a mio parere corretta. Innanzi tutto la  questione del divieto di sacrifici umani non è menzionata in questo episodio e, in secondo luogo,  Abramo non riceve nessun rimprovero ma solo parole di elogio per la sua disponibilità a immolare  il figlio e a eseguire l’ordine divino. La pecca morale di Abramo è quindi più grave di quella di Dio. Senza discutere, senza fare domande e senza recriminare è pronto a eseguire un ordine insensato e  ingiusto, ad abbandonare ogni logica e ogni naturale senso di giustizia, ad ammazzare un innocente  per dimostrare la propria devozione e fiducia in Dio.
Questa disponibilità e assoluta obbedienza sono di ispirazione a molte atrocità commesse in nome  di un ordine divino. Abramo, da un punto di vista religioso, rappresenta un modello assolutamente  immorale per le generazioni future e il suo comportamento getta un’ombra sulla sua personalità di  difensore della giustizia, rivelatasi, per esempio, durante il colloquio con Dio sulla distruzione di  Sodoma e Gomorra, quando lui giustamente domanda: «Davvero sterminerai il giusto con  l’empio?» (Genesi, 18, 23) E: «Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?» (Genesi, 18, 25).[...]
Il mito del sacrificio di Isacco va dunque fermamente respinto da un punto di vista morale? Forse lo si può parzialmente salvare partendo da una posizione secolare che sostiene che Dio non esiste e  Abramo ha agito in piena autonomia, per propria decisione e volontà.
La deterrenza
Abramo ha lasciato la casa di suo padre Terach quando era ormai uomo fatto per seguire una nuova  fede. Ha reciso i suoi legami familiari, tribali, ha abbandonato la sua patria, ha voltato le spalle alla  fede dei suoi avi ed è partito per un paese straniero per fondare una nuova religione. A un’età ormai  avanzata, e dopo aver finalmente avuto un figlio dalla moglie Sara, poteva certamente ipotizzare  che suo figlio Isacco si sarebbe comportato con lui come lui aveva fatto con suo padre Terach. Vale  a dire avrebbe potuto abbandonare la fede in un unico Dio a favore di altri dei e forse se ne sarebbe  andato altrove.
Come poteva allora Abramo scongiurare una simile eventualità? Anziché rivolgersi agli abitanti  della terra di Canaan e convincerli della bontà e della verità della sua nuova fede ha optato per una  strada più facile, scegliendo di garantire la continuità del suo nuovo credo per mezzo della sua  discendenza. E per ottenere questo obiettivo ha organizzato la messinscena del sacrificio del figlio:  ha condotto il ragazzo su un monte, ha costruito un altare, ha legato Isacco e ha brandito il coltello  come a dire: «Io sono pronto a ucciderti. Nonostante ti ami potrei ammazzarti se tu cambiassi fede.  Potrei fare a te quello che mio padre, Terach, non fece a me per tenermi stretto al suo credo».  All’ultimo momento, però, finge un ripensamento, come se Dio gli avesse parlato tramite un angelo  e gli avesse detto: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente» (Genesi, 22, 12). Il  messaggio a Isacco è quindi chiaro: «Io, da parte mia, avrei potuto ucciderti ma il Dio in cui credo  ha avuto pietà di te e non me lo ha permesso. Da oggi in poi sappi, Isacco, che non a me, che ti ho  messo al mondo, devi la vita, ma al Dio che ti ha salvato». [...] La paura
Secondo questa interpretazione laica Abramo, che non ha nessuna intenzione di uccidere il figlio ma vuole solo minacciarlo e intimidirlo, non può essere quindi accusato di tentato omicidio o di cieca  obbedienza a una richiesta «divina» di un omicidio. Non è invece esente dall’accusa di avere  terrorizzato Isacco. E in ebraico l’espressione «la paura di Isacco», nata da questo episodio, è  presente in numerose preghiere e salmi liturgici. Il poeta Haim Gori ha ben espresso il terrore  provato da Isacco in una sua famosa poesia intitolata Eredità. E così scrive nell’ultima strofa:
«Isacco, come narrato, non fu offerto in sacrificio.
Visse per lunghi anni.
Vide il bene, finché gli occhi non gli si oscurarono.
Ma lasciò il ricordo di quell’attimo in eredità ai suoi discendenti.
Che nascono
Con un pugnale conficcato in cuore»
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(Traduzione dall’ebraico di Alessandra Shomroni)