sabato 15 aprile 2017

Nella lacerazione di Shabbat



Meditazione sul sabato santo. 

Anticipiamo uno stralcio della meditazione per il sabato santo che sarà pronunciata ai seminaristi durante il triduo pasquale che si svolge presso il Seminario arcivescovile di Venegono Inferiore, nella diocesi di Milano.

(Cristiana Dobner) Lo Shabbat è un vuoto da non eludere e da non considerare solo un passaggio momentaneo, anche perché cadremmo nel pregiudizio: noi già sappiamo come va a finire o crediamo di saperlo, in un giorno che non era ancora il sabato santo ma solo lo Shabbat prima di Pesach. Questo evento in movimento, in transizione, proietta la sua tenebra e la sua ombra e insieme la sua luce sulla storia e sulla nostra storia.

Come vivere oggi lo Shabbat e la condizione stabile di Shabbat? Come porre il silenzio di Shabbat al centro della storia? Si rischia di ostinarsi nel mutismo, di rimanere immobili e di rendersi impermeabili agli interrogativi: il cuore indurito deve diventare il cuore circonciso, cuore ascoltante. Cercando le ragioni, scrutando il Secondo Testamento e lasciandosi penetrare dalla Parola, è gioco forza ammettere che fra tutti i misteri della vita di Gesù il descensus ad inferos rimane il più enigmatico.
Nello Shabbat è assente Yehoshua ben-Yosef ha-notzri, il dolore è senza senso e la tenebra invade gli animi di tutti i discepoli. Nel passaggio da Shabbat a sabato santo si radica l’agire conclusivo del Padre e l’angosciante enigma della morte diviene mistero.
Il paradosso è evidente: il Logos, il Verbo, è in silenzio. Nell’abbandono senza scampo. È una negatività? È la kènosis più assoluta? È la strettoia finale che si conclude nel nulla?
Nella vita trinitaria l’abbandono del Figlio al Padre è «luogo radicale di apertura» che sintetizza, unisce la Gloria di Dio, la storia della persona nel tempo e nello spazio, il dono della nuova alleanza del nuovo Adam. La prima kènosis che «costituisce un atto assolutamente libero in forza del quale il Logos accetta i limiti e la adoxìa della natura umana» scrive von Balthasar.
È un rapporto dialogico completo. Un atto non solo cristologico ma completamente trinitario. Gesù è andato fino in fondo all’abisso insondabile, dove manca ogni prospettiva, ogni sbocco, ogni luce.
La croce, scandalo e svolta, dona una grande novità: «Dal vecchio al nuovo eone, nella tensione tra la situazione del mondo e il suo fine. Tra i due termini però la mediazione non è data dall’evoluzione immanente, ma dall’inafferrabile momento intercorrente tra il sabato santo e la Pasqua» sempre secondo von Balthasar.
Bisogna cogliere questo momento inafferrabile, penetrarlo e farlo proprio nella vita teologale e di comunione amorosa con la Trinità. Il discorso non è filosofico, è teologico salvifico, teologale di vissuto esperienziale.
Gesù che fa sua la realtà della persona — nel linguaggio di Martin Heidegger «essere per la morte» — non può esimersi quindi di giungere in quel “dove” sono… depositati, parcheggiati i morti, nel loro regno, lo sheol, la dimora dei morti, in greco l’Ade (Atti 2, 31): «E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione» (1 Pietro 3, 19).
Cristo è dunque disceso là dove uno è nella morte «per portare i nostri peccati; così com’era conveniente che egli morisse per liberarci dalla morte, altrettanto era conveniente che egli scendesse nell’Ade per liberarci dalla discesa nell’Ade» (san Tommaso).
Il dramma solo a questo punto può diventare teodramma perché egli con la sua Unterfassung dona la direzione verso Dio.
Il termine tedesco è quasi impossibile da tradurre, viene coniato l’italiano subabbraccio perché contiene in sé simultaneamente profondità e direzione: Gesù Cristo, Messia, solo scendendo fino a dove più non si può scendere, raccoglie e abbraccia, si manifesta come El Rahum, il Misericorde, il Dio degli uteri che tutti salva, come traduceva il grande scrittore André Chouraqui.
Non è un’Unterfassung obbligatorio da cui sia impossibile sottrarsi, esiste la possibilità, perché l’Altissimo ha creato Adam libero, di rifiutare l’Unterfassung. Da qui, l’indiscutibile libertà della persona e l’indiscutibile possibilità dell’esistenza dell’inferno.
Disceso significa calato nel mistero della morte, nel silenzio e nella solitudine assoluta. Realmente morto. Realmente inumato, nell’inghiottitoio, nel luogo di ombre dove non si loda Dio.
Quando la pietra chiude l’imboccatura del sepolcro, sigilla la fine, sigilla il vuoto. Non esiste più Yehoshua ben Yosef ha-notzri, il sedicente Mashiach? Il silenzio oscuro della morte in questa giornata è coprente. Il grido di Eliahu era stato ascoltato, quello di Yehoshua ben Yosef ha-notzri ignorato. Jhwh è impotente allora? Diventa l’Assente?
La morte è kenotica, causata non dal suo peccato ma da quello di Adam e di ogni Adam della storia dell’umanità (Filippesi 2, 5-11). Rispetto alla fede che cosa significa?
Delinea la fede come accettazione del proprio limite, del proprio essere creatura però libera, che può consegnarsi totalmente, affidandosi e attendendo il senso e la risoluzione della propria morte solo come dono.
Il Padre è assente dallo sheol? Il Figlio ve lo porta. L’abbandono di Gesù Cristo si configura come atto insondabile di libertà a un mistero che non conosce e non sa delineare ma vuole attraversare e intridere d’amore. Dio tace. Lo Spirito tace. Il Figlio tace: morto.
Solo da questo fondo di tenebra può risalire la luce che inonda tutto l’universo. Edith Stein scrive: «La croce non è fine a se stessa. Essa, ergendosi, indica la direzione verso l’alto. Quindi non è solo segno, è la forte arma di Cristo; la verga del pastore con cui il divino Davide esce incontro all’infernale Golia; con cui egli bussa alla porta del Cielo e la spalanca. Allora sgorgano i flutti della luce divina e si estendono a tutti coloro che sono al seguito del Crocifisso».
In questo silenzio di annientamento la Parola del Figlio si dimostra davar che in ebraico opera quanto viene detto. La discesa nello sheol è intrisa d’amore e dilatata nell’Unterfassung. Unica nostra possibilità di sicura salvezza. Un abbraccio kenotico ma trinitario che si rivolge a tutto il creato, a ogni Adam, a ogni evento storico. Luogo vuoto, lo iato nella storia, punto insuperabile che non si può oltrepassare perché proprio là tutto è finito, concluso, nel vuoto, nel silenzio, nella solitudine. È una cripta? Un blocco sepolcrale senza vie d’uscita perché c’è solo un cadavere?
Risponde Joseph Ratzinger: «La solitudine insuperabile dell’uomo è superata da quando Lui vi è entrato. L’inferno è vinto, da quando l’amore è entrato anche nella regione della morte e la terra di nessuno della solitudine viene abitata da lui. L’uomo vive in fondo non di pane, ma essenzialmente, in quanto uomo, dall’essere amato e dal potere, egli stesso, amare. Da quando c’è la presenza dell’amore nel luogo della morte, c’è la vita in mezzo alla morte».
Per questa ragione, che appare una sragione, l’arte cristiana antica faceva risplendere dal truce legno della Croce dei raggi luminosi: la speranza attraversava il momento cruento e gli donava il suo senso. Tuttavia, se Yehoshua ben Yosef ha-notzri fosse solo disceso non avrebbe contato poi molto. Tutte le persone, prima o poi, se sono state portate alla luce della storia, discendono, cioè scompaiono e non tornano più. Nello Shabbat ancora non risplendeva nulla agli occhi dei discepoli, delle donne che avevano accompagnato Yehoshua ben-Yosef ha-notzri nel suo annuncio. Erano tutti ammutoliti, ignoravano perché gli occhi della fede non erano ancora aperti al kabod, alla gloria, che stava risplendendo nella sua pienezza in una realtà distruttiva, non solo di morte ma di stato di morte. Pienamente disceso e scomparso.
Diastasi del venerdì e dello Shabbat con il focus non ancora sul sabato santo, che si paleserà tale solo dopo l’apparire del Risorto: «La liturgia della Chiesa colloca tutti i discepoli del crocifisso davanti a questo vuoto: dalla fine del venerdì santo fino al termine della notte del sabato santo dobbiamo sopportare l’oscuro silenzio di Dio. Come potremmo non comprendere e non accettare che il popolo ebraico abbia a compiere la sua missione sacra di lasciare risuonare, per l’umanità, il silenzio al quale questa ha condannato il popolo benedetto da Dio? Questo vuoto dei luoghi e del tempo non può che essere guardato da lontano (cfr. Luca 22, 54) con fede, da quelli che contemplano l’abbandono del venerdì santo prima di volgere lo sguardo verso il sole nascente del primo giorno» (Jean-Marie Lustiger).
Diastasi che ci rivela il dramma della Trinità, delle Persone trinitarie nel loro amore salvifico. La teologia deve interrogarsi per non approdare al solo apofatismo, per non irrigidirsi in una metafisica aristotelo-tomista oppure in una pseudo mistica dell’ineffabile e invece assumersi lo iato come guado e apertura alla vita trinitaria il cui orizzonte viene così svelato. Chi ha conservato questa speranza nel vuoto dello Shabbat? Mirjam di Nazareth, la Madre, l’unica custode della fede.
L'Osservatore Romano

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SettimaNews

(Michele Giulio Masciarelli) Il Sabato santo è un giorno misteriosissimo di Cristo, che torna a intrigare giustamente i cristiani:[1] è uno dei giorni più significativi della storia della salvezza. Fra l’altro, è il giorno del silenzio di Cristo. Si tratta di un silenzio piissimo, dolcissimo, ma anche terribile. Il Cristo non lo si vede più: è sottratto ai nostri occhi credenti. è nel sepolcro; è dentro la morte. Se non l’avessimo mai conosciuto, il Cristo, sarebbe stato meno impressionante che saperlo sparito. Il Sabato santo propone di vivere (...)