sabato 18 marzo 2017

III Domenica di Quaresima, Anno A — 19 Marzo 2017. Ambientale e commenti al Vangelo


Nella terza Domenica di Quaresima, la liturgia della Parola ci propone l’incontro di Gesù con la samaritana presso il pozzo di Giacobbe. A Gesù che chiede da bere, la donna dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». Gesù le risponde:

«Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva».
“La sete è uno dei temi conduttori delle letture odierne: nella prima lettura, grazie alla sete del popolo, appare il sentimento di mormorazione e ribellione che serpeggiava nel cuore di molti israeliti. Grazie alla sete di Gesù al pozzo di Sicar, l’incontro con la samaritana, rivela la sua condizione di adulterio ed eresia, e consente al Messia di manifestarle gradualmente la propria identità e il dono dello Spirito, vera fonte inesauribile d’amore. Anche a noi può accadere che nel corso del combattimento quaresimale la sete di serenità, di vita e di riposo sia l’occasione perché emergano stanchezze, nervosismi ed idolatrie, ed è questo il momento più opportuno per incontrare il Signore, per sentirci amati gratuitamente senza nulla da offrire in cambio, se non la sincera ammissione delle nostre mancanze. Molti patriarchi in Israele hanno incontrato per la prima volta le loro future spose proprio presso i pozzi dove si abbeveravano. In questa domenica il Salvatore del mondo ci viene incontro come un innamorato e con la sua tenerezza c’invita a gustare un cibo sconosciuto: l’obbedienza alla Volontà del Padre per collaborare con Lui all’immensa opera di annunciare il Vangelo ovunque e con zelo. Lo sposo ci chiama non indugiamo, la sua dote è gioia piena ed eterna. (Sanfilippo)
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“Dammi da bere”

Il Signore ci aspetta. Aspetta te, me, ogni uomo di ogni tempo. Aspetta quanti non vanno più in chiesa, come quelli che ci vanno ogni giorno. Aspetta vescovi e preti, suore e missionari. Ci aspetta dove ci rechiamo ogni giorno ad “attingere acqua”.
Per cercare i suoi figli perduti, oltrepassa ogni barriera, per giungere fin dove siamo precipitati separandoci da Lui. Non teme di parlarci, samaritani eretici che abbiamo scelto di “non avere buoni rapporti con Lui”.
Ci ama di amore infinito, Lui sa che l’unica felicità sorge da un buon rapporto con Lui, il migliore, il più completo, quello di uno Sposo con la sua sposa. Ma per sposarci e unirsi a noi occorre che ci spogli di ogni menzogna.
“Dammi da bere”: comincia lo scrutinio del nostro cuore. Per dare da bere occorre avere acqua. Per dare la vita, alla quale l’acqua è intimamente legata, occorre averne in sovrabbondanza. Ma quella donna, come ciascuno di noi, probabilmente non ci aveva mai pensato. Continuava a recarsi ogni giorno a quel “pozzo profondo” meccanicamente. 
Come accade a te, che in ogni circostanza devi sforzarti, con risultati fallimentari. Ogni giorno, che fatica… Papà, mamme, preti, suore, impiegati, studenti, tutti condannati a sudare. 
Ma proprio qui il Signore ci aspetta per salvarci: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è Colui che ti dice dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. Ah, c’è qualcosa e Qualcuno che non conosciamo!  
Ci rechiamo stancamente allo stesso pozzo perchè non conosciamo il dono di Dio e chi ci sta chiedendo di dargli da bere. Il demonio ci ha nascosto la verità, ci ha detto che Dio è geloso di noi e viene sempre a chiederci senza darci nulla di quello che desideriamo. Gli abbiamo creduto consegnandogli il “dono di Dio”, e ci ha dato in cambio lo sforzo. Gli abbiamo affidato la vita e ci ha dato la morte.
“Il pozzo è profondo” io lo so bene Signore. “Non hai un mezzo per attingere”, per caso “sei più grande del nostro padre Giacobbe?”, cioè, sei Dio? “Da dove hai dunque quest’acqua?”. Ecco, magari potessimo rivolgere anche noi a Cristo questa domanda.
È il primo passo sul cammino della conversione. Accettare di non conoscere e per questo chiedere. Sulla soglia di ogni speranza nascosta e fragile Gesù annuncia la notizia capace di cambiare la vita, il cuore e il modo di pensare.
C’è un’acqua che disseta davvero che si trasforma in “sorgente d’acqua viva”. Era questo il “dono” preparato da Dio per ogni uomo che il demonio ci ha rubato. 
Oggi il Signore è davanti a noi per restituirci quello che ci appartiene riprendendosi, con amore e misericordia, la sua sposa perduta.
Nella vita, infatti, anche noi abbiamo avuto “cinque mariti”, come le cinque divinità con cui i Samaritani avevano contaminato il culto di Israele. E’ il sincretismo che abbiamo nel cuore, una candela a Padre Pio e una causa contro il vicino di casa.
Nemmeno l’uomo con cui condividiamo oggi la nostra vita è nostro “marito”, perché non siamo fatti per il secchio d’acqua che stringiamo tra le mani. 
Ma chi, se non la Chiesa, ha il coraggio di dirci la verità sui nostri adulteri? Non certo il mondo che ha capovolto la realtà affermando come bene proprio quello che ci avvelena.
E dove potremo spogliarci senza vergogna e timore di essere giudicati, confessandoci adulteri e peccatori se non nell’abbraccio materno e misericordioso della Chiesa? Non certo tra parenti, amici e colleghi, che prima esaltano il male e poi condannano i peccatori senza pietà. 
Non a caso il Vangelo di questa Domenica fa parte dell’itinerario di preparazione dei catecumeni ai sacramenti del Battesimo, Confermazione ed Eucarestia, che avveniva nella grande Veglia della notte di Pasqua. 
Tutti abbiamo bisogno di percorrere una seria iniziazione cristiana dove incontrare Cristo, il “profeta” che conosce tutto di noi. Un cammino di fede nel quale il Signore, con la Parola, i sacramenti e la guida di pastori e catechisti, trapassi come una Tac il nostro cuore rivelandoci l’origine del nostro male per strapparlo con il perdono e deporvi il “dono di Dio”. 
Lo Spirito Santo in noi ci unisce a Cristo nello stesso amore. Allora la Legge, il dono secondo la tradizione ebraica, sarà scritta nei nostri cuori e sigillata con il fuoco dell’amore.  
Solo confessando i nostri peccati e accogliendo il dono di Dio ritroviamo la verità e l’autenticità della nostra vita. La sete e la fame non sono per essere appagate ma per appagare; la vita ci è data per essere perduta, consegnata, non per difenderla e adulterarla. 
Uniti a Cristo nostro Sposo la vita si trasforma in una fonte di acqua viva che zampilla senza esaurirsi; lo Spirito Santo, il soffio eterno dell’amore di Dio scaturisce dall’intimo di noi stessi dove dimora il cuore stesso di Cristo. Esso palpita per compiere l’opera del Padre, la sua volontà di salvezza per ogni uomo. 
Con Lui possiamo oggi levare lo sguardo e scorgere, al di là di ogni difficoltà, sofferenza, fallimento, al di là della Croce, il “grano che biondeggia per la mietitura”. Lui “ha faticato” in ogni istante della nostra vita, come in quello della storia del mondo. Lui ha consegnato la sua vita perché potessimo mietere la sua vittoria nel matrimonio, nel fidanzamento, al lavoro, in noi stessi. 
“Quattro mesi appena”, il tempo della pazienza amorevole, e la Parola del Vangelo “raccoglierà il frutto per la vita eterna”. E’ questo il senso del tempo che ci è dato, il criterio con cui entrare ogni giorno nella storia. La fede che vede la risurrezione attraverso la Croce e la tomba. 
E’ grano che biondeggia per accogliere Cristo ogni persona in cui ci imbattiamo: il collega astioso, la moglie nevrotica, il marito irascibile, i figli testardi, l’amico che tradisce, il vicino avaro. Grano che biondeggia come siamo ciascuno di noi, rigenerati dall’amore di Dio.
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 “La sete del cuore”

Lectio divina – III Domenica di Quaresima – Anno A – 19 marzo 2017
di Mons. Francesco Follo
Premessa
In questa III domenica di Quaresima, come poi nella IV e nella V, invece del Vangelo secondo San Matteo la Liturgia della Chiesa ci propone tre brani presi da quello secondo San Giovanni, nei quali sono raccontati tre incontri di Gesù:
  • con la Samaritana che viene al pozzo di Giacobbe e riceve in dono l’acqua che disseta per sempre;
  • con il cieco nato che riceve la luce degli occhi e quella del cuore;
  • con l’amico Lazzaro, che Lui resuscita.
L’incontro con ognuno di queste tre persone mette in luce alcuni aspetti particolari della persona di Gesù, Figlio di Dio che dona la vita, dissetando con acqua “spirituale”, dando la luce per vedere Dio e non solo le cosa, dando la vita all’amico, cioè a ognuno di noi
            1) La sete nostra.
Poiché è amore, Dio ha sete di amare e di essere amato; l’uomo, sua creatura, ha sete di essere amato e di amare.  Questa sete spinge, oggi,  Cristo a domandare alla donna Samaritana: “Dammi da bere” (cfr. Gv 4,7). Il Figlio di Dio viene a noi come un mendicante, bisognoso di ciò che possiamo dargli. “La cosa più grande nell’amore di Dio non è il fatto che egli ci ama, ma il fatto che egli ci chiede l’amore, quasi non potesse fare a meno di quello che noi possiamo dare a lui. Colui che è l’infinito, colui che è l’eterno, colui che è sufficiente a se stesso, stanco riposa sull’orlo di un pozzo” (Don Divo Barsotti). La Samaritana rappresenta l’umanità intera, la cui sete di amore non può essere appagata da nessun uomo (la Samaritana ne ha avuti sei).
Cerchiamo di immaginarci la scena del Vangelo di oggi: verso mezzogiorno una donna va al pozzo di Giacobbe, che si trova vicino al villaggio dove lei abita, per prendere acqua e nel giro di non molti minuti approda alla fede che l’incontro con Cristo suscita. Gesù è lì che l’aspetta al pozzo ed esprime anche lui il suo desiderio. Cioè la fede nasce dall’incontro di due desideri profondi, che “dialogano” fra loro. La sete di Cristo svela il segreto della sete di questa donna, che ci rappresenta tutti.
Perché questa donna arriva alla fede e vi arriva rapidamente?
  • Perché accetta di dialogare con Cristo che l’aspetta al bordo di un pozzo. Perché arriva al pozzo, dove va ogni giorno, perché ogni giorno il suo corpo ha sete. Ma la Samaritana ha sete anche e soprattutto di amore e non lo trova né esasperando l’amore che già ha, né cambiando continuamente amore (dinanzi ai cinque uomini già lasciati ed a quello con il quale convive ora si presenta il Cristo, colui che è il “settimo”).
  • Perché vi arriva assetata di non solo di acqua che disseta il corpo, ma anche di quella che estingue la sete di verità, di amore, e di giustizia. Questa sete “spirituale” – davanti  a Gesù che le dice “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: ‘Dammi da bere!’, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva” (Gv 4, 10) – spinge questa donna a mendicare, dicendo: “Signore, dammi quest’acqua” (Gv 4, 14).
Questa donna non rappresenta solo l’umanità vivente ai tempi della vita terrena di Cristo. Lei rappresenta anche tutta l’umanità di sempre, la cui sete è ben espressa da queste parole: “O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne, in terra arida, assetata, senz’acqua” (Sal 63,2).
La sete dell’uomo non si è estinta né allora né mai: non è estinguibile. In ogni essere umano c’“è” la domanda ineliminabile di senso (inteso come significato, direzione e gusto della vita) e apertura all’Infinito. A questa domanda di infinito, il mondo risponde con infinite cose, che non colmano mai il cuore dell’uomo, che vuole l’infinito, perché è capace di Dio. A questo riguardo il Catechismo della Chiesa Cattolica, al Capitolo I intitolato L’uomo è “capace” di Dio, ribadisce il fatto che il desiderio (cioè la sete) di Dio è inscritto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l’uomo e soltanto in Dio l’uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa. Il senso della vita umana consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio, fonte di gioia.
Se domandassimo a quanti non conoscono ancora Cristo, a chi non l’ha ancora incontrato con Lui, anche a quelli che non lo vogliono cercare, molti risponderebbero di essere contenti della loro sorte. Vanno a prender l’acqua, ma non hanno bisogno di Dio. Vanno al pozzo per prender l’acqua per il corpo, ma non notano di aver loro i stessi sete di un’altra acqua. La presenza del Cristo rivela all’anima il suo vuoto che solo l’infinito amore di Dio può colmare. A questo riguardo cita il Beato Charles de Foucauld che, in una sua meditazione, parla della tristezza in cui lo lasciavano le passioni terrene, quando egli, ancora ateo, credeva di soffocare nelle trasgressioni questa sete di Dio che è propria dell’uomo.
        2) La sete di Cristo.
Per rispondere a questa sete profonda che il nostro spirito ha, Cristo mette una sola condizione perché Lui possa donarsi, mendica un “obolo” che noi gli offriamo dell’acqua per la sua sete. L’acqua che chiede  di avere dalla Samaritana è un’elemosina grazie alla quale la nostra mano e il nostro cuore si aprano e possano così ricevere molto di più, infinitamente di più.
Ispirandomi ad un quadro di Duccio di Boninsegna che ritrae Gesù seduto sul bordo di un pozzo, che in realtà è un fonte battesimale[1] marmoreo, solido, e  la donna Samaritana con sulla testa, in precario equilibrio, una fragile brocca di argilla, posso scrivere che Gesù ha bisogno proprio della brocca di ciascuno di noi da calare nel pozzo, cioè ha bisogno della nostra libertà, del nostro amore libero, che Lui redime.
Il cammino spirituale della Samaritana è proposto oggi a noi. E’ un itinerario, che ognuno di noi è chiamato a riscoprire e a percorrere costantemente. Anche noi, battezzati siamo sempre in cammino per divenire veri cristiani e questo episodio evangelico è uno stimolo a riscoprire l’importanza e il senso della nostra vita cristiana, il vero desiderio di Dio che vive in noi.
Proponendoci il Vangelo della Samaritana, oggi la Chiesa vuole portarci a professare la nostra fede in Cristo, come questa donna ha fatto, andando annunciare e testimoniare ai nostri fratelli la gioia dell’incontro con Lui e le meraviglie che il suo amore compie nella nostra esistenza.
La fede nasce dall’incontro con Gesù, riconosciuto e accolto come Salvatore, nel quale si rivela il volto di Dio. Una volta che il Signore ha conquistato il cuore della Samaritana, la sua esistenza è trasformata e lei corre senza indugio a comunicare la buona notizia alla sua gente. Diceva sant’Agostino che Dio ha sete della nostra sete di Lui, desidera cioè di essere desiderato. Più l’essere umano si allontana da Dio più Lui lo insegue con il suo amore misericordioso.           Dunque, quest’oggi, il Vangelo ci spinge a rivedere il nostro rapporto con Gesù, a cercare il suo volto senza stancarci.  “È il desiderio che scava il cuore”[2] (Sant’Agostino) e lo dilata. E’ il desiderio che rende profondo il cuore e la “vita del buon cristiano consiste nel santo desiderio”[3] (Id.).
Una testimonianza di buona vita cristiana è quella delle vergini consacrate nel mondo, che mortificano la sete di amore umano per dissetarsi solamente all’acqua di vita che sgorga da Cristo e per rispondere alla sua sete.
La verginità consacrata “non è assenza di desiderio ma intensità di desiderio” (Santa Teresa d’Avila) ed è una vocazione che esprime come sia possibile vivere una vita che si disseta solamente con Dio. Questa vita donata e, quindi, feconda va vissuta con un atteggiamento di fede e di gioia spirituale, alimentato dalla preghiera. Essa va pure vissuta con un distacco non solo dalla vita di coppia, ma anche dalle simpatie troppo limitate, per orientare tutte le energie, comprese quelle affettive, alla comunione con Cristo e con quanti diventano vicini a causa di lui.
La persona che vive la verginità consacrata è un dono prezioso per la Chiesa: testimonia infatti la presenza iniziale del regno di Dio e la sicura speranza del suo compimento; rende più disponibili al servizio. Infine non dimentichiamo che la verginità non contraddice la dignità del matrimonio, ma la presuppone, la conferma, la difende dalle interpretazioni riduttive. Essa ricorda agli sposi che devono vivere il matrimonio come un anticipo e una figura della comunione perfetta con Dio. Il “Tu” che ognuno cerca in definitiva è Dio: l’altro coniuge non può saziare il desiderio illimitato di amore; le vere nozze sono quelle con Dio.
Letture Patristiche
San Nerses Snorhali (1102 – 1173)
Jesus, 442-443
Sorgente della vita, Tu hai chiesto l’acqua
Alla Samaritana nella (tua) sete;
E Tu hai promesso l’Acqua viva,
in cambio dell’effimera.
A me pure accorda, Sorgente della Vita,
La santa Bevanda spirituale,
Colui che sgorga dal seno come un fiume:
Lo Spirito da cui zampilla la grazia in abbondanza.
Sant’Efrem, il Siro (306 – 373)
Diatessaron, 12, 16-18
Nostro Signore venne alla fontana come un cacciatore, chiese l’acqua per poterne dare; chiese da bere come uno che ha sete, per avere l’occasione di estinguere la sete. Fece una domanda alla Samaritana per poterle insegnare e, a sua volta, essa gli pose una domanda. Benché ricco, Nostro Signore non ebbe vergogna di mendicare come un indigente, per insegnare all’indigente a chiedere. E dominando il pudore, non temeva di parlare ad una donna sola, per insegnarmi che colui che si tiene nella verità non può essere turbato. “Essi si meravigliarono che si intrattenesse con una donna e le parlasse” (Jn 4,27). Egli aveva allontanato i discepoli (Jn 4,8), perché non gli scacciassero la preda; egli gettò un’esca alla colomba, sperando così di prendere tutto uno stormo. Aprì la conversazione con una domanda, con lo scopo di provocare confessioni sincere: “Dammi dell’acqua, perché io beva” (Jn 4,7). Chiese dell’acqua, poi promise l’acqua della vita; chiese, poi smise di chiedere, al pari della donna che abbandonò la sua brocca. I pretesti erano finiti, perché la verità che essi dovevano preparare, era ora presente.
Dammi dell’acqua, perché io beva. Essa gli disse: Ma tu sei Giudeo. Egli le disse: Se tu sapessi” (Jn 4,7 Jn 9-10); con queste parole, egli le dimostrò che essa non sapeva e che la sua ignoranza spiegava il suo errore; la istruì sulla verità; voleva rimuovere a poco a poco il velo che era sul suo cuore. Se le avesse rivelato fin dall’inizio: Io sono il Cristo, essa avrebbe avuto orrore di lui e non si sarebbe messa alla sua scuola: “Se tu sapessi chi è colui che ti ha detto: Dammi dell’acqua perché io beva, tu gli avresti chiesto… La donna gli disse: Tu non hai un secchio per attingere e il pozzo è profondo. Egli le rispose” (Jn 4,10-11 Jn 4,13): Le mie acque discendono dal cielo. Questa dottrina viene dall’alto e la mia bevanda è celeste; coloro che ne bevono non hanno più sete, poiché non vi è che un battesimo per i credenti: “Chiunque beve dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete. Essa gli disse: Dammi di quest’acqua perché io non abbia più sete e non debba venir più qui ad attingerne” (Jn 4,14-15).
Egli le disse: Va’ a chiamare tuo marito” (Jn 4,16). Come un profeta, egli le apre una porta per rivelarle cose nascoste. Ma essa gli rispose: “Io non ho marito” (Jn 4,17), per provare se egli conosceva le cose nascoste. Egli le dimostrò allora due cose; ciò che essa era e ciò che essa non era, ciò che era di nome, ma non era in verità: “Tu ne hai avuti cinque, e quello attuale non è tuo marito. Essa gli disse: Mio Signore, vedo che sei un profeta” (Jn 4,18-19). Qui, egli la portò ad un gradino superiore: “I nostri padri hanno adorato su questo monte. Egli le rispose: Non sarà più così, né su questo monte, né a Gerusalemme; ma i veri adoratori adoreranno in spirito e verità” (Jn 4,20-21 Jn 23). La esercitava perciò nella perfezione, e la istruì nella vocazione dei gentili. E per manifestare che non era una terra sterile, essa testimoniò, tramite il covone che gli offrì, che il suo seme aveva fruttificato al centuplo: “Ecco, quando verrà il Messia, ci annunzierà ogni cosa. Egli le rispose: Sono io che ti parlo” (Jn 4,25-26). Ma se tu sei re, perché mi chiedi dell ‘acqua ? È progressivamente che si rivelò a lei, prima come Giudeo, poi come profeta, quindi come il Cristo. La condusse di gradino in gradino fino al livello più alto. Essa vide in lui dapprima qualcuno che aveva sete, poi un Giudeo, quindi un profeta, e infine Dio. Essa persuase colui che aveva sete, ebbe il Giudeo in avversione, interrogò il saggio, fu corretta dal profeta e adorò il Cristo.
[1] E per questo richiamo al battesimo che il brano di oggi è scelto perché la quaresima soprattutto nei secoli passati era per i catecumeni il periodo di preparazione al battesimo impartito a  Pasqua.
[2] Desiderium sinum cordis.
[3] Vita boni christiani sanctum desiderium est.
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Gesù e la samaritana, appunti di metodo
di Piero Gheddo

Domenica 19 marzo, nel rito romano è la III di Quaresima e nel Vangelo leggiamo l’incontro di Gesù con la donna samaritana che era andata al pozzo ad attingere acqua. L’episodio è molto bello e ricco di insegnamenti anche per noi oggi, che ci troviamo spesso nella stessa situazione. Tra Gesù e la donna c’era un abisso. Gesù è un giovane ebreo ed è Dio, la samaritana aveva peccato molto, era lontana da Dio, ma portava nel cuore la sete di Dio.
Molti di noi credenti in Cristo viviamo la stessa esperienza di Gesù. Forse nella nostra famiglia o fra conoscenti ci sono persone lontane dalla fede. Oggi non pochi giovani, dopo la Cresima, vengono travolti dall’onda laicista della nostra società e in chiesa non vanno più. Chi crede deve ringraziare il buon Dio che gli ha conservato la fede, ma ha la responsabilità di testimoniarla e comunicarla a chi l’ha persa. Papa Francesco vuole riformare la Chiesa e invita tutti i credenti ad essere missionari.
Il Vangelo ci presenta questa scena della vita del Messia. Tre momenti, tre passaggi del missionario Gesù nell’incontro con la samaritana al pozzo:
1) Gesù era Dio, noi siamo un popolo di peccatori in cammino verso l’amore e l’imitazione di Cristo, vivendo secondo il Vangelo. Nel 1964 nella Casa Madre delle Missionarie della Carità di Madre Teresa a Calcutta, ho visto un grande Crocifisso con queste parole: “I thirst”. Ho sete. Sete di amore, sete di anime. La samaritana sentiva nel profondo questa sete di Dio, che non riusciva ad emergere per una vita superficiale e le molte emergenze quotidiane. Basta un incontro con Gesù per portare alla superficie questa sete di Dio. L’incontro con Gesù cambia la vita di questa donna.
Cari fratelli e sorelle, anche noi incontriamo spesso Gesù nella Messa, nella Comunione, nelle preghiere. Ma “quanta poca preghiera c’è nella nostra preghiera” diceva Madre Teresa. Accendiamo in noi il desiderio di conoscere e amare Gesù. Noi crediamo di conoscerlo, ma non lo conosciamo, non lo contempliamo nel suo immenso amore per noi. Non sentiamo ancora profondamente il desiderio di  far conoscere a tutti com’è bello amare Gesù.
Cari amici che mi leggete, noi tutti siamo orfani di Cristo. La Quaresima è il tempo opportuno per convertirci, con la preghiera, la mortificazione, la generosità per le opere di carità. Quanto più ci distacchiamo da noi stessi, tanto più ci avviciniamo a Gesù e ci innamoriamo di Lui. Viviamo tutti una vita superficiale, il mondo ci travolge con le sue informazioni, distrazioni, preoccupazioni. Dobbiamo dare il suo tempo a Dio, al suo amore, rinunziare a qualcosa per esplorare il mistero di Dio, Padre misericordioso e di Gesù Cristo, Messia e Salvatore dell’umanità.
2) Gesù si mette al pari della donna. Non fa valere la sua superiorità di uomo, né di ebreo, né rivela sua divinità. Anzi dice alla samaritana: “Dammi da bere”. Le chiede un favore, suscitando l’interesse della donna: “Come mai, tu che sei un ebreo, chiedi da bere a me che sono una samaritana?”. Gesù vedeva in profondità nel cuore umano e conosceva la vita disordinata di quella donna, ma vedeva anche in lei la sete di Dio, il desiderio di purezza, di perdono, di incontrare Dio. Le chiede da bere l’acqua materiale, poi le parla dell’acqua spirituale che disseta per sempre e quella donna gli chiede di darla anche a lei. Prima si è fatto accettare, poi le ha rivelato di essere il Messia.
Nel 1990 ero a Kandy, la città sacra del buddismo in Sri Lanka e ho chiesto ad un prete locale se e come la Chiesa annunzia esplicitamente la salvezza in Cristo. Mi ha risposto: “In questa città l’annunzio di Cristo viene dopo. Prima dobbiamo farci accettare, di voler conoscere e apprezzare le loro ricchezze artistiche, morali, spirituali”. Questo è il principio che Papa Francesco mette in pratica nel “Dialogo con i lontani”, lanciato da Paolo VI e dal Concilio Vaticano II (1962-1965). Francesco vuol convertire il mondo intero a Cristo, non si mette mai contro gli atei, i persecutori della Chiesa, ma “va con i peccatori”, come faceva Gesù. Il profeta Ezechiele  riferisce la parola di Dio (Ez. 18, 23): “Io sono il Vivente, dice il Signore, non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva”.
Papa Francesco ha telefonato e parlato bene di Pannella, di Dario Fo, di Veronesi e della signora Bonino, si è fatto intervistare da Eugenio Scalfari di “Repubblica” ed è stato criticato. Lui ha dato un esempio a tutti noi, per dimostrare come avvicinare chi non crede. Questo esempio va bene anche per noi come cristiani. Pensate a quante persone avviciniamo, che hanno bisogno: partecipare ai suoi problemi, alle sue sofferenze, lodare le sue azioni e i suoi aspetti positivi. 
Cito una mia esperienza. Alcuni anni fa mi scrive Massimo Ages, avvocato romano ateo, marxista, contro la Chiesa cattolica. Ho risposto alla sua lettera, lui mi ha proposto di discutere, via computer, sulla Chiesa cattolica e il cristianesimo (credo una cinquantina di lettere ciascuno). Andiamo avanti per un anno circa a scambiarci lunghe lettere di botta e risposta, sempre con rispetto e a poco a poco con affetto. In quel tempo sua moglie era in ospedale per una difficile operazione. Gli ho assicurato la mia preghiera per lei, dicendogli che Dio può tutto. Questa lettera l’ha commosso, era la prima volta che un prete pregava per lui e la moglie. Alla fine mi scrive che ci siamo detti tutto, mi ringrazia e mi saluta con affetto, come anch’io l’ho ringraziato. Non ci siamo mai visti, ma siamo diventati amici. Il dialogo  sincero è sempre utile, ha insegnato molte cose anche a me. 
Questa è “La Chiesa in uscita” di cui parla spesso Francesco. Tutti siamo chiamati ad essere evangelizzatori, tutti possiamo dire una buona parola. Come prete, medito spesso le parole di Gesù si suoi discepoli: “Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo, voi siete il lievito che deve fermentare la pasta”. Chissà quante persone hanno bisogno di Dio! Incontrando me che sono un sacerdote, da questo incontro può scoccare la scintilla che li porta a Dio, oppure un cattivo esempio che li allontana da Dio. Io prete, io cristiano conosciuto come tale, ho una responsabilità. Signore Gesù, rendimi un’immagine credibile di Te. La “nuova evangelizzazione” del popolo italiano passa proprio attraverso questa coscienza nuova del cristiano, di dover rappresentare Gesù alle persone che incontra. 
3) Il terzo passaggio è di superare la barriera del laicismo, per cui parlare di temi religiosi è considerato sconveniente, quasi un tabù, che impedisce a molti di esprimere il sentimento religioso che tutti portiamo nel cuore. A Gesù è bastato un cenno sull’acqua spirituale, per toccare il cuore della donna. Anche noi possiamo dire una buona parola, ragionare se possibile sui temi della fede e della vita cristiana, ascoltare cosa dice l’altro senza fargli rimproveri. Se la fede e l’amore di Dio ci danno gioia e serenità di vita, se ci aiutano a portare le nostre croci, diciamolo. Viviamo in un paese di battezzati. È più facile che in un paese non cristiano. Con l’aiuto dello Spirito Santo, senza imporre niente a nessuno, possiamo farcela.