martedì 14 febbraio 2017

Perdersi e ritrovarsi


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Del perdersi e del ritrovarsi: «Così dopo 6 anni abbiamo sconfitto il divorzio grazie a nostro figlio»
di Andrea Zambrano


Letizia Quattrini e Massimo Marinangeli sono nonni felici. E sono sposati. Questo non è un fatto secondario nella loro vita perché il loro matrimonio è naufragato per poi rinascere come nuovo dopo un lungo percorso di riconciliazione che li ha portati ad essere finalmente una coppia. Prima invece, subito dopo il loro matrimonio erano soltanto due individui con i loro egoismi e le loro difficoltà.
A credere nel loro essere una sola carne in tutti questi anni di addii e ritorni era rimasto solo Dio, che non ha mai mancato di tenere fede alla promessa. Così mentre loro si perdevano e attraversavano come tanti, come troppi, il calvario del divorzio, a reggere quel Sacramento era rimasto Lui. Che hanno poi ritrovato al loro fianco quando si sono guardati in faccia per ricominciare. La storia di Letizia e Massimo da Ancona è la storia di una rinascita o meglio, di un ritrovarsi, traduzione del francese retrouvaille. E Retrouvaille è il nome dell’associazione che nel nascondimento e senza clamori si occupa di ricucire le ferite delle coppie che si separano.
Non con l’obiettivo di trovare un senso ad un addio per stare meglio con se stessi, ma con l’unico scopo di tornare insieme perché, come dice il motto dell’associazione “Separarsi non è la soluzione”. L’esperienza di Retrouvaille in Italia non è ancora molto conosciuta, eppure c’è dal 2001, ma merita di essere gridata sui tetti e non solo per le percentuali altissime di successo, intorno al 70%. Va fatta conoscere perché a forza di considerare il divorzio come una delle tante soluzioni, a volte l’unica, si finisce per ferire l’intera società. E le avvisaglie sul calo demografico e la crisi dei rapporti famigliari stanno ogni giorno a dimostrarlo.
Ma dato che Retrouvaille è anche un cammino di fede, è inevitabile che nel percorso ci si imbatta anche in Colui che quell’unione l’ha benedetta rimanendovi fedele anche nella tempesta. La Nuova BQ ha intervistato Letizia, scoprendo che il percorso del ritrovarsi ha visto come protagonista proprio uno dei tre figli della coppia, perché proprio i figli sono il terminale più debole del processo di separazione. L’anello di cui nessuno tiene mai conto. E di cui nessuno, né film, né canzone dirà mai perché ormai il divorzio è un tabù al contrario: entrato nella sfera dei diritti universali, anche il solo metterlo in discussione è operazione rischiosa. E invece il divorzio può sciogliersi come la neve di marzo. Basta solo chiedere aiuto.  
Letizia, quando inizia la vostra storia?
Nel 1982 con il matrimonio. Nessuno ci aveva mai spiegato nulla. Nel 1983 nasce il nostro primo figlio e nell’84 il secondo. Ma eravamo allo sbaraglio: fin da subito si sono verificati i primi dissapori, le tensioni caratterizzate soprattutto dalla mancanza di comunicazione o da una comunicazione errata.
La rottura quando avvenne?
Quando mio marito ha intrecciato una relazione con una collega. Anni dopo ho capito che aveva smesso di confidarsi con me perché io decidevo da sola, facevo tutto da sola e questo è stato il primo errore: quello di pensare che di fare tutto da sola. Così l’altro si sente escluso e ognuno cerca così la sua personale perfezione.
Lei che cosa ha fatto?
Quando ho scoperto la relazione non ho avuto il coraggio della separazione e ho chiesto un altro figlio. E’ nata Barbara, ma subito dopo è degenerato tutto: non c’era più intimità, non c’era più nulla. Così ho chiesto la separazione.
Che periodo è stato?
Angosciante. Si crede di essere liberi, invece si è più in catene di prima, schiavi delle proprie passioni.
Ha avuto altre storie?
Sì, ma non me ne importava niente. Il mio cuore era svuotato. Finché…
Finché?
Il nostro secondo figlio a 20 anni si è trasferito a Roma per la specialità universitaria. Alla Sapienza ha conosciuto una religiosa con un carisma molto particolare: quello di avvicinare i giovani per farli pregare. Lui si è aperto e ha iniziato un periodo di conversione.
Sta dicendo che tutto è partito dal dolore vissuto da uno dei vostri figli?
Sì. Ha conosciuto l’esperienza di Retrouvaille che era arrivata in Italia nel 2001. Così ci ha proposto di partecipare ad un week end di conoscenza. Voleva che facessimo quel cammino.
E voi?
Massimo accettò subito, aveva subito l’abbandono e non aveva mai chiuso la porta definitivamente, io invece dissi di sì, ma solo perché così anche lui si sarebbe messo il cuore in pace sulla fine della nostra storia. Diciamo che ho accettato per dimostrare a loro che non c’era nulla da fare.
E invece…?
In quel week end mi si sono aperti gli occhi. Ho capito tante cose di lui che non avevo mai compreso. Per noi è stato fondamentale scoprire i deficit di comunicazione che avevamo avuto nei primi anni di matrimonio. Mi sono accorta dei suoi sentimenti e dalle testimonianze degli altri vedevo che c’erano situazioni disperate, ma piene di speranze. Quella della testimonianza di chi ha fatto il percorso ti fa capire che è possibile rinascere nella speranza. Il problema del divorzio è principalmente un problema di mancanza di speranza.
Ma il cammino di Retrouvaille è solo tecnica di ascolto e comunicazione?
No, c’è molto di più. Mi ero contemporaneamente allontanata dalla fede, ho riscoperto questa Chiesa che come una madre ti apre le braccia. Anche i sacerdoti ti accolgono raccontandoti la loro storia, si inizia a ragionare in un altro modo, ti entrano nel cuore verità alle quali non avevi mai fatto caso.
Come avete proceduto dopo il primo incontro?
Piano piano abbiamo proseguito con gli incontri che diventavano periodici, abbiamo così iniziato infrangendo i luoghi comuni, quelli del tipo: “L’amore quando è finito, è finito”. Invece abbiamo lentamente capito che l’amore è una decisione, che si costruisce.  Abbiamo reiniziato a ricostruire un'intimità.
Che spazio ha avuto il perdono?
Decisivo. In Retrouvaille si lavora molto su se stessi, ma anche sulle proprie origini perché certe ferite si portano dietro dal rapporto con i genitori con premesse sbagliate; si comprendono gli errori e si sente bisogno di chiedere perdono e di perdonarsi. Abbiamo avuto tutti e due delle ferite, ma anche il perdono è una decisione, ci vuole un cammino di consapevolezza del male fatto e del male subito.
Parliamo dei figli.
Soffrono, magari non lo dicono, ma soffrono. Nessuno dà loro attenzione perché il nostro sguardo è proteso verso l’esterno per trovarti qualcun altro e colmare il tuo vuoto, ma è una chimera. Nel corso del cammino di Retrouvaille sono emerse anche le sofferenze subite dai figli. E anche qui c’è voluta un’altra buona dose di perdono. Quando siamo tornati insieme sono rinati.
Come si struttura Retrouvaille?
Al primo week end ci sono tre coppie testimoni che presentano la loro storia, sono coppie che come noi hanno partecipato al programma. Con loro c’è sempre un sacerdote. Si inizia al venerdì e si finisce alla domenica pomeriggio in una full immersion dove grazie alle testimonianze si snocciolano le principali verità. Successivamente iniziano degli incontri di due ore alla settimana per dodici settimane. E’ un percorso lungo e impegnativo nel corso del quale si analizzano con le coppie e con il sacerdote le verità emerse nel primo incontro. Una volta terminato il percorso ci è venuto naturale metterci al servizio.
Ci sono psicologi o “esperti”?
No. Retrouvaille si basa sulla testimonianza. E’ quella che ti insegna e ti fa sentire vicina la tua situazione.
Un’esperienza così, di tipo cattolico. Perché?
Perché la Chiesa è capace di parlare al cuore dell’uomo, io ho riscoperto la Chiesa madre e mi ha colpito che nel percorso di riconciliazione anche il sacerdote abbia chiesto perdono per tutte le volte che non è stato in grado di aiutare gli sposi che soffrono o di averli preparati in maniera inadeguata.
Ora la vostra vita è rinata dopo 6 anni di lontananza. Che cosa pensa del dibattitto sull’accesso dei divorziati risposati alla Comunione?
Non posso emettere sentenze, ma raccontare la mia testimonianza.
Che sarebbe?
Quando ero separata pensavo alla Comunione come ad una rivendicazione, in un certo senso la pretendevo. Poi, dopo la conversione ho realizzato che da fuori certe dinamiche si vivono con la logica della rivendicazione e della pretesa. Dal di dentro si sperimenta un vero senso di unità e si comprende che l’atteggiamento cristiano non è quello della pretesa. Mi chiedo in quanti sarebbero disposti a fare un cammino serio? Non so, ma quando sei dentro vivi certe richieste con altri occhi.
Quanto ha contato il contesto esterno? Gli amici, i parenti?
E’ fondamentale per sostenerti nelle scelte. Ma tante persone ci dicevano: “Chi ve lo fa fare?”, “ormai i figli sono grandi”. Invece io posso dire con certezza che oggi il nostro matrimonio non è mai stato così bello e così pieno, perché abbiamo avuto gli strumenti per costruire quello che prima era un semplice vivere alla giornata nell'egoismo.
Che accade alle vostre testimonianze?
La gente rimane sbalordite, si commuove, sente che c’è una verità che li tocca. E' proprio vero che l'amore è una decisione, ma è sostenuta dal Cielo. Noi ne siamo testimoni.

***
Separata e fedele, la storia di Elena
di Maria Angela Masino

«Quando mi sono sposata ero una cristiana tiepida, ho incontrato Gesù negli ultimi anni di matrimonio, periodo in cui il rapporto con mio marito era sempre più difficile, carico di dolore. Mi sentivo impotente. Fu in uno di questi momenti, il più buio, che durante un pellegrinaggio incontrai Cristo. Si rivelò a me tramite l’abbraccio di una donna che non conoscevo. Quel gesto ha aperto un varco nella mia corazza difensiva e mi ha fatto capire che avevo ancora tanto desiderio di bene nonostante la rabbia.
Tre anni dopo quell’incontro, mio marito mi comunicò di volersi separare e ciò ha creato in me una  confusione totale: in questo smarrimento l’unica certezza che avevo era la presenza di Gesù nella mia vita», racconta Elena Frittoli, 44 anni, madre di due figli, residente a Lodi, separata fedele. «Sì, fedele al Sacramento del matrimonio. Perché la separazione non rappresenta un’interruzione di vita, ma una diversa e nuova continuazione della chiamata alle nozze alla quale si può ancora “aderire”, anche se l’amore umano non è più ricambiato».
Elena crede nel Sacramento indissolubile che, per lei, non è memoria, ritualità, “contratto di lavoro a tempo determinato”, ma giuramento di fedeltà eterna a Gesù. «Dopo la separazione ho percepito con chiarezza che non volevo e non potevo perdere Colui che mi aveva sostenuto e accompagnato negli ultimi e difficili anni di matrimonio prima della separazione, e che rappresentava la mia unica salvezza.
Ho parlato di questo con un sacerdote il quale mi spiegò che nelle nozze Gesù Sposo si unisce ai coniugi rendendoli un corpo solo e un’anima sola e che, pur non ricevendo l’amore del mio coniuge, Colui che si era donato a noi nel Sacramento del matrimonio avrebbe continuato ad accompagnarmi anche nella situazione di abbandono da parte di mio marito. Compiere questa strada era, in quel momento di crisi e confusione, un percorso molto faticoso, troppo in salita».
Il sacerdote suggerì a Elena di cercare su internet se a Milano ci fossero associazioni o gruppi di separati fedeli. «Avendoli trovati, iniziai un cammino che - ora posso dire - avevo idealizzato. Dico idealizzato perché, pur seguendo uno stile di vita coerente con quanto mi proponevo e che ritenevo consono con il percorso spirituale che mi veniva proposto, la scelta della fedeltà non faceva ancora parte della mia vita.
Andavo avanti avendo fiducia in persone di fede e scoprendo il valore della Chiesa: sacerdoti che guidavano la mia spiritualità e laici i quali, vivendo già la fedeltà, mi erano di esempio e di sprone. Il passaggio importante, però, è stato l’essermi abbandonata all’amore di Dio, lasciando che Lui operasse in me, che mi plasmasse come a Lui piaceva. Questo esercizio quotidiano mi accompagna tuttora».
Fu così che l’ideale di fedeltà da astratto che era, è diventato concreto, parte integrante della quotidianità da vivere con spontaneità e semplicità. «Questa nuova consapevolezza di chi sono io agli occhi di Dio mi ha portato a comportarmi con la semplicità e la spontaneità di sempre, ma con una luce nuova: faccio la mamma al meglio delle mie possibilità, senza straordinarietà, e mi rendo conto che “tutto è possibile a chi ama il Signore”. Mi sono così scoperta una donna diversa».
Ora, anche senza essere più una moglie nel senso completo del termine, Elena si sente amata di un amore appagante e si accorge ogni giorno che veramente, come dice il Salmista ”…non manca di nulla”. «Adesso che vivo la fedeltà a Gesù, che è fedeltà a Dio oltre che a me stessa, sto via via riscoprendo la mia verità di donna capace di amare, ma anche amata come figlia di un Dio che è Padre». 
Così, guardando allo sposo Gesù, nel corso del cammino ha scoperto un amore più grande che va oltre il dono ricevuto nel sacramento delle nozze e arriva fino al cuore e alla sorgente stessa dell’amore, che è Dio. «Il sacramento del matrimonio, nella mia situazione, è fonte di grazia inesauribile per la mia famiglia, per i miei figli e per me. L’amore, la serenità e la grazia che mi accompagnano hanno dato frutti anche nel rapporto con mio marito: cerco di non giudicarlo e, quando devo discutere con lui di qualche problema, mi rivolgo al Signore per avere il cuore disponibile e le parole adeguate ad affrontare i momenti di maggior tensione e mantengo un buon rapporto con lui.
Credo che i miei figli, più che sentire da me spiegazioni e lunghi monologhi sulla vita cristiana, vedano e percepiscano la serenità e la pace che vivo quotidianamente, ma anche la fede che si concretizza come dono da offrire». 
Elena racconta ai suoi ragazzi e condivide con loro i piccoli gesti quotidiani di aiuto agli altri, le sue esperienze che, come catechista, vive con i bimbi. Ed ecco che così facendo qualcosa è cambiato. Suo figlio, che da circa tre anni non frequentava più il catechismo e non andava a Messa giustificando quel comportamento con la frase “Papà non crede perché io devo?”, ha cominciato a frequentare il grest come animatore. Ora sta ripetendo quell’esperienza e quest’estate è partito per il campo estivo della parrocchia. Da alcuni mesi è ritornato a frequentare il catechismo. Elena è rimasta molto colpita quando, rientrando da casa di un amico, i cui genitori si erano separati da poco, il figlio le ha chiesto: ”Mamma va a parlare con la mamma di Edo perché lo tratta  male e prima della separazione non era così! Potrebbe essere un’idea invitarla a venire con te nel gruppo dei separati, che frequenti?”. 
Una richiesta che Elena ha vissuto con grande entusiasmo e conforto perché le ha fatto capire che i suoi figli hanno notato in lei la serenità nuova che sente di avere. Questa è la prova che la testimonianza consiste, più che nei discorsi, nella vita vissuta, nel modo di essere, nel clima che si crea intorno a chi crede con i fatti. Elena non ha trovato la forza di testimoniare pensando alla sua educazione. Anzi: la religione nella sua famiglia d’origine consisteva solo nell’essere presenti alla Messa Domenicale! L’energia nuova arriva dalla Provvidenza e dalla misteriosa creatività di Dio che agisce nelle nostre singole storie. «Dopo il matrimonio, mi sono trasferita nel paese in cui abito ancora oggi, lontano dai miei. Dovendo riprendere l’attività lavorativa dopo la maternità, ho affidato la cura della mia bambina a una persona estranea, precisamente una signora, che non si è limitata a una assistenza materiale, ma, unitamente a tutta la sua famiglia – veri cristiani praticanti - ha accolto anche me come figlia, aiutandomi nei momenti di difficoltà, stando insieme in occasione delle feste, invitandomi a partecipare con loro alla Messa e anche ad alcuni pellegrinaggi. In questi coniugi sono presenti i segni del vivere cristiano, del donare senza ricevere nulla in cambio e mia figlia, in occasione della  sua Cresima,  ha scelto la sua tata come madrina». 
Sì, perché anche se nella famiglia non viene vissuta una fede profonda, ma si è “aperti di cuore”, il Signore raggiunge i suoi figli per altre vie, attraverso persone che non necessariamente devono essere parenti. «Dio è venuto comunque a bussare alla mia porta, ha aspettato che io Gli aprissi e questo mio accoglierLo è stato fonte di benedizione per me e i miei figli. Vorrei citare le parole di una catechesi in cui Mons. Renzo Bonetti, fondatore e direttore spirituale della “Fraternità Sposi per Sempre”, accennava alla trasmissione della fede nei figli, perché credo riassumano quanto detto finora: “Nella vita ciò che conta è che i figli tornino al Padre. Torneranno se nella loro vita ci sono segni del Padre”. Nella mia vita i segni del Padre, che ora cerco di trasmettere ai miei figli, sono giunti attraverso persone che il Padre stesso mi ha mandato».
Elena vive così la sua quotidianità di figlia di Dio, moglie e madre, ringraziando il Signore per i doni ricevuti, che le consentono di proseguire il cammino con Lui. Considera doni: un padre spirituale che la accompagna, la preghiera quotidiana, le catechesi di due Sacerdoti che le sono di grande nutrimento spirituale e poi la vicinanza di fratelli e sorelle che percorrono il suo stesso cammino e che le donano affetto, calore umano, sostegno. «Mi sorprendo pensando che tutto ciò è giunto grazie al “Si” che ho pronunziato al Signore in totale libertà. Comunque tutto ciò che viene è dono Suo, compresa la fedeltà».