sabato 3 dicembre 2016

Ecco, il Signore verrà. Commento all'antifona d'ingresso della II domenica di Avvento

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Popolo di Sion, ecco, il Signore verrà a salvare le genti;e farà udire, il Signore, la sua voce gloriosacon gioia del vostro cuore (cf. Is 30,19.30).Tu che governi Israele, ascolta,tu che conduci Giuseppe come una pecorella (Sal 79,2).

Ecco, il Signore viene! E viene sempre, per portare la salvezza, per guidare le pecore del suo gregge, per prendersi cura del «popolo che egli ha scelto come sua eredità» (Sal 32,12). Il Veniente viene incontro a un «popolo», non a una folla di solitudini, né all’anonimato dell’isolamento: populus Sion, «il popolo di Sion» è il destinatario della prossimità del Signore, che consola gli esiliati, che cammina con il suo popolo, che fa rifiorire il deserto, che riedifica le rovine della Città santa, che fissa la sua dimora in mezzo agli uomini che egli ama.
E questo «popolo di Sion» – nel vocativo che apre il canto d’introito della II domenica di Avvento – è annuncio e figura della Chiesa, comunità dei chiamati, per diventare «un solo gregge», sotto la mano di «un solo pastore» (Gv 10,16), «per formare un solo corpo» (1Cor 12,13), ascoltando la sua voce (cf. Gv 10,16.27).
«Il Signore, infatti, farà udire la gloria della sua voce» (Is 30,30), quella voce che nell’In-principio ha chiamato all’esistenza tutte le cose che sono (cf. Gen 1,3 ss.), quella voce che echeggia con forza nel canto del salmista: «La voce del Signore è sopra le acque, tuona il Dio della gloria, il Signore sulle grandi acque. La voce del Signore è forza, la voce del Signore è potenza. La voce del Signore schianta i cedri del Libano. La voce del Signore saetta fiamme di fuoco, la voce del Signore scuote il deserto. Nel suo tempio tutti dicono: Gloria!» (Sal 28,3-5.7-9).
La gloria di quella voce si è fatta vagito di un figlio d’uomo, in una mangiatoia, nel nascondimento dell’incarnazione; ha trovato eco nelle parole tonanti di Giovanni il Battista, «voce di uno che grida nel deserto» (Lc 3,4); si è fatta annuncio di bene per i poveri sulle vie del vangelo, di liberazione per i prigionieri, di sguardo nuovo per i ciechi, di misericordia per i peccatori, di ritrovamento per i perduti (cf. Lc 4,18); si è fatta «voce grande» nell’urlo di derelizione sulla croce, nella solidarietà ultima con tutti gli abbandonati da Dio e dagli uomini, e nell’affidamento ultimo al Padre che salva, perdona e accoglie ogni vita (cf. Mt 27,46.50 e par.).
Ecce Dóminus véniet, «ecco, il Signore verrà…». La salvezza che viene e che si dice in una Parola gravida di senso è il dono che ci è fatto nell’Avvento, in quel «venire» di Dio che non si limita ad un passato che ci precede, ma che ci attira verso il suo futuro, verso il suo «avvenire» che ci si fa incontro: ecco, «ora egli viene incontro a noi in ogni uomo e in ogni tempo, perché lo accogliamo nella fede e testimoniamo nell’amore la beata speranza del suo regno» (Prefazio di Avvento I/A).
È questa la sorgente, la scaturigine e la causa della nostra gioia, di quella lætitia cordis che allarga il cuore, che dilata gli spazi interiori, che dischiude orizzonti insperati, che infonde fiducia: così, «con cuore dilatato dall’indicibile dolcezza dell’amore», corriamo incontro al Signore veniente (RB, Prol. 49), nella gioia di sapere che, se un tempo noi eravamo non-popolo, ora invece siamo popolo di Dio; e, se un tempo eravamo esclusi dalla misericordia, ora invece abbiamo ottenuto misericordia (cf. 1P 2,10).
Fratel Emanuele di Bose