martedì 18 ottobre 2016

L’Europa nel messaggio di Giovanni Paolo II



L’Europa nel messaggio di Giovanni Paolo II è il titolo della lectio magistralis, di cui pubblichiamo alcuni stralci, tenuta martedì 18 ottobre alla Pontificia università lateranense dal presidente emerito della Repubblica italiana. La lectio, pronunciata in occasione dell’inaugurazione della cattedra di filosofia e storia delle istituzioni europee intitolata a Papa Wojtyła, è stata introdotta dal rettore, il vescovo Enrico dal Covolo e dal titolare dell’insegnamento, Rocco Buttiglione, del cui intervento riportiamo un’ampia sintesi.
Libertà religiosa e libertà civili
Giorgio Napolitano

La storia di Solidarność rimane uno dei fenomeni più luminosi e significativi della seconda metà del Novecento in Europa. In quel movimento si elaborarono idee e valori di grande rilievo per lo sviluppo complessivo del processo di costruzione europea; da esso venne un contributo essenziale al superamento dello schema che contrapponeva, a un’Europa occidentale, una Europa centro-orientale. Lo si fece da parte di un grande intellettuale militante come Bronisław Geremek recuperando e rielaborando il concetto di «Mitteleuropa». E nel contempo dalle file di Solidarność si selezionò una nuova classe dirigente democratica e di forte ispirazione europeistica per la Polonia.
Dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia e del blocco dei regimi comunisti e quindi in preparazione e a coronamento dell’ingresso della Polonia nell’Unione europea, Geremek fu tra gli artefici dell’importante documento conclusivo del Gruppo di riflessione su «La dimensione spirituale e culturale dell’Europa». Sul piano politico e di governo emerse la sapiente figura di Tadeusz Mazowiecki.
Karol Wojtyła, attentissimo al ruolo che la sua ascesa nella Chiesa polacca gli aveva conferito come punto di riferimento spirituale e morale per la nazione intera, si era mosso con estrema intelligenza e ampiezza di orizzonti. Egli colse tutte le opportunità che nell’ambito dei rapporti col potere via via si presentavano per alleviare le condizioni del suo popolo. Anche se ciò aveva provocato incomprensioni da parte del vertice della Chiesa di Roma anche nei rapporti con il cardinal Wyszyński. Giovanni Paolo II continuò comunque, da Pontefice la sua azione in quel senso.
Ma la forza del magistero di Giovanni Paolo II, Papa polacco, nell’ulteriore confronto, per oltre dieci anni, con il comunismo al potere, va individuata nella forte caratterizzazione del suo netto impegno non solo per il rispetto della libertà religiosa bensì per il rispetto di tutte le libertà civili. Ed essa va al tempo stesso individuata nell’orizzonte in cui egli collocò il sostegno a Solidarność e alle sue battaglie, e l’auspicata unità, nella democrazia, di tutta l’Europa: l’orizzonte cioè della distensione tra Est e Ovest, dell’avvio al superamento della guerra fredda.
Per la distensione Giovanni Paolo II operò per portare avanti, nel solco di Paolo VI, la Ostpolitik divenuta componente importante della dialettica e dell’evoluzione affermatesi in seno all’Europa comunitaria. E quindi si impegnò a fondo per la valorizzazione dei lavori e dell’Atto Finale di Helsinki a metà degli anni Settanta e oltre. Di quel processo, culminato nella nascita dell’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza Europea, la Santa Sede in prima persona era stata protagonista essenziale grazie al contributo, di alta scuola diplomatica vaticana, di Agostino Casaroli e Achille Silvestrini.
Il settembre 1980 era iniziato, sull’onda delle travolgenti lotte operaie guidate da Solidarność, con l’importante accordo di Danzica e Stettino tra rappresentanti di lavoratori e governo; accordo che riconosceva il diritto di sciopero e il ruolo dei sindacati destinati ad autogestirsi attraverso libere elezioni e accedendo ad adeguati diritti di informazione.
Ma dopo poco più di un anno, la situazione determinatasi in Polonia e sfociata in aperture del regime verso un combattivo movimento operaio e verso Solidarność, apparve a Mosca gravemente destabilizzante e pericolosa. E il generale Jaruzelski ricorse alla decisione stroncatoria dello stato di emergenza. Sappiamo che successivamente tra la complessa e anche intimamente drammatica personalità del generale-presidente e Giovanni Paolo II, si sarebbe determinato un dialogo. Lo si racconta, in un contesto ormai mutato, in una intervista di verità, che ancor oggi colpisce, concessa da Jaruzelski a Jas Gawronski e da lui pubblicata quasi a integrazione della sua ampia intervista, piuttosto confidenziale, al Papa.
Il generale ed ex presidente motivò la sua decisione pur gravissima in rapporto a concrete minacciose avvisaglie di una invasione e occupazione sovietica della Polonia. Essa sarebbe stata cioè una dolorosa reazione, costata moltissimo allo stesso autore di quella decisione adottata tuttavia da «patriota polacco».
L’imposizione della legge marziale in Polonia provocò peraltro anche una forte scossa politica nella sinistra europea, e segnatamente nel Partito comunista italiano. Tutto ciò certamente non era sfuggito alla massima autorità della Chiesa cattolica e alla sua visione europea e universale. Tanto meno le poté sfuggire l’importantissimo, ampio documento, approvato il 29 dicembre 1981 dalla direzione del Pci come «riflessione sui fatti di Polonia». Una riflessione che partì dalla drastica condanna del ricorso alla legge marziale — e dal cordoglio per le vittime dei tragici fatti di sangue verificatisi — ma andò ben al di là di ciò. Per l’analisi che compì, per i principi che affermò, per l’iniziativa politica che espresse. Di quella analisi era parte la denuncia dell’ostacolo frapposto — alle posizioni più aperte emerse nel «Partito operaio unificato polacco» al potere — da persistenti dogmatismi, da posizioni conservatrici, dalle proiezioni di un lungo periodo di pratica burocratica e repressiva.
E di quella analisi era anche parte l’omaggio alla Chiesa cattolica per la sua costante presenza e crescente influenza «nella vita polacca come forza nazionale».
La conclusione stava, ben oltre i confini della Polonia, in un mai così esplicito rifiuto, da parte del Pci, della «logica dei blocchi» e in un sostanziale passo verso la fuoriuscita del maggior partito comunista dell’occidente dai limiti del movimento comunista internazionale. Il Pci proclamava in effetti il suo intendimento di intrattenere rapporti non solo con gli altri partiti comunisti ma «allo stesso modo con ogni altra forza socialista e progressista, senza legami particolari o privilegiati con nessuno, su basi di assoluta autonomia di pensiero e di azione politica, senza vincoli ideologici, politici od organizzativi».
Confido che questa non vi sia apparsa una digressione superflua, ma abbia potuto interessarvi in quanto passò anche attraverso le revisioni e i nuovi apporti di forze politiche come il Pci il cammino dell’Europa verso la sua riunificazione. E vale la pena di far cenno a ulteriori manifestazioni di rispetto e sensibilità per il mondo cattolico e per la Chiesa che il Pci diede nel corso di quegli stessi anni Ottanta, contribuendo in modo costruttivo e lineare al negoziato per la revisione del Concordato tra Stato e Chiesa in Italia: contributo a quel negoziato che da parte di uno dei suoi più qualificati protagonisti si ritiene essere stato colto positivamente dal Pontefice.
Se posso inserire qui una testimonianza personale, ricorderò che nella mia qualità di dirigente responsabile per la politica estera e per le relazioni internazionali del Pci, ebbi occasione di partecipare a Cracovia a una conferenza sull’Europa indetta dal «Consiglio Polacco di Ricerche sulla Pace» che si aprì il 19 aprile 1989. Da Cracovia raggiunsi subito dopo Varsavia — all’indomani cioè della conclusione positiva della Tavola Rotonda — per avere incontri, nella sede dell’Ambasciata italiana, con i protagonisti del confronto nelle elezioni parlamentari che si sarebbero tenute il 4 giugno. Il risultato elettorale segnò una vittoria trionfale di Solidarność e il crollo del partito al potere. 
Ho già avuto occasione in altre sedi di sottolineare come il blocco dei regimi comunisti, la divisione dell’Europa tra due blocchi ideologici militari e politici, quel muro che era apparso incrollabile si ruppe non nel novembre del 1989 a Berlino, ma sei mesi prima a Varsavia. E questo va detto in omaggio al popolo polacco, al movimento dei lavoratori guidato da Solidarność, alla Chiesa polacca e a Karol Wojtyła nella suprema autorità da lui assunta come Pontefice dall’ottobre 1978.
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Narcisismo ed egoismo
Rocco Buttiglione

Molti legano il nome di Giovanni Paolo II alla caduta del comunismo e alla riunificazione dell’Europa. Questo è certamente giusto ma rischia di essere inteso in un modo sbagliato. Certo, il comunismo è caduto davanti a una grande testimonianza intellettuale, morale e religiosa il cui oggettivo punto di riferimento, di ispirazione e di guida era Giovanni Paolo II. Sarebbe però sbagliato porre l’accento sulla caduta del comunismo piuttosto che sulla testimonianza davanti alla quale il comunismo è caduto. Il comunismo forse sarebbe caduto lo stesso, anche senza Giovanni Paolo II. Il vero miracolo laico e storico del Papa fu il modo in cui il comunismo cadde: senza sangue. Vi erano tutte le condizioni perché il crollo del comunismo scatenasse odi e rancori, in parte recenti e in parte secolari, tali da provocare in tutto l’arco che va dal mare Baltico al mare Adriatico una guerra civile di dimensioni e proporzioni simili a quella che ha travolto la ex Jugoslavia. Giovanni Paolo II con la sua predicazione e il suo esempio ha incanalato le energie dei popoli verso il perdono, la riconciliazione, la pace, la ricostruzione materiale e morale. 
Ricordiamo in questa occasione anche un altro grande europeo, Helmut Kohl. Fu lui a sviluppare o a tentare di sviluppare un progetto politico che corrispondesse, almeno parzialmente, alla ispirazione spirituale di Giovanni Paolo II. Abbiamo così avuto la riunificazione della Germania. Abbiamo avuto l’euro, che non è una moneta ma la garanzia che la Germania mai più cercherà un suo cammino particolare contro l’Europa. Abbiamo avuto l’allargamento della Unione europea che ha consentito ai paesi dell’Europa centrale di imboccare il cammino dello sviluppo economico nella pace. 
Dopo molte vittorie però quel progetto culturale e politico è stato sconfitto e ha dovuto subire una penosa battuta d’arresto. Volevamo i valori cristiani nella Costituzione europea e non abbiamo avuto né i valori cristiani né la Costituzione. Volevamo la riunificazione dell’Europa e abbiamo avuto solo l’allargamento. Non è la stessa cosa. Riunificazione dell’Europa significava che i paesi dell’Europa centrale e orientale avrebbero dovuto rientrare nella comunità dei popoli europei portando con se l’eredità dei grandi valori della nostra cultura europea riscoperti nella lotta contro il totalitarismo: valori cristiani ma anche e inseparabilmente valori della tradizione classica greca e romana e quelli dell’illuminismo, del liberalismo e del socialismo che ne sono derivati. Valori certo in parte in conflitto e anche in lotta alla ricerca del giusto equilibrio fra loro. 
Proprio dalla loro concordia discors nasce la vitalità e lo slancio della nostra comune cultura europea. Il grande movimento, la grande rivoluzione pacifica dalla quale è nata la nuova Europa è stata sbrigativamente messa da parte. Non abbiamo avuto la riunificazione dell’Europa ma solo l’allargamento. Allargamento significa che la cultura consumistica e il materialismo volgare dell’occidente hanno inglobato i paesi ex comunisti. Non abbiamo bisogno di valori o di radici comuni per vivere insieme. Ci basta un vago umanitarismo e l’utile economico, l’interesse bene inteso e la regola di mercato. 
Per vivere l’Unione non ha bisogno di altro. Non solo i valori cristiani ma i valori in generale sono rimasti fuori dalla Costituzione. Invitata a dire cosa è e in che cosa crede l’Unione europea non è stata capace di definire la propria identità. Il Trattato di Lisbona ha messo una toppa e ha dettato alcune regole di funzionamento, l’Europa però è rimasta senz’anima. Abbiamo una moneta comune ma non abbiamo una statualità comune e nemmeno regole per un esercizio comune della sovranità che la sostenga. 
Un’Europa fondata sul narcisismo e sull’egoismo presentati come diritti ha scoperto di essere fragile e in balia degli eventi. Avevamo bisogno di solidarietà ma non ne avevamo perché avevamo disabituato e diseducato i popoli alla solidarietà. Un’ondata di populismo si rivolge adesso contro questa Europa. 
Sono stato questa estate a Cirencester, all’undicesimo Vanenburg Meeting. Ho capito una cosa: i britannici sanno benissimo che la Gran Bretagna da sola non è in grado di navigare nelle acque tempestose del secolo XXI ma non sentono questa Europa come una patria. Preferiscono allora tornare alla vecchia Inghilterra che non può offrire né protezione né difesa ma in cui almeno si ha l’impressione di vivere in qualcosa che somiglia a una casa. Ma dobbiamo proprio scegliere fra un freddo impero burocratico e la calda illusione del ritorno a un passato che è ormai trascorso per sempre? 
La cattedra che abbiamo istituito vuole lanciare un grido di allarme, risuscitare una speranza, indicare un cammino. È possibile, è necessario tornare al grande progetto che abbiamo lasciato incompiuto. Bisogna ritrovare un linguaggio che parli all’anima delle nazioni convincendole che l’Europa non nasce dalla loro dissoluzione ma dal riconoscimento della origine comune. Vogliamo costruire un ponte fra cultura e politica, ritrovare la forma e l’anima che dà coerenza e vita alle istituzioni europee. Giovanni Paolo II non è stato solo il Papa dell’Europa. È stato il Papa della Chiesa universale. Lasciate che io oggi ricordi in modo particolare che è stato il Papa della America latina. In America latina non c’era il comunismo ma le dittature di sicurezza nazionale. Anche esse sono crollate senza sangue davanti a un grande movimento per la difesa dei diritti dell’uomo in cui decisiva è stata la presenza dei cattolici e la guida spirituale di Giovanni Paolo II. Nel suo pellegrinaggio a Puebla, nei primi mesi del suo pontificato, Giovanni Paolo II disse che l’America latina non aveva bisogno della rivoluzione comunista ma aveva bisogno di una rivoluzione della dignità dell’uomo e dei suoi diritti naturali, ispirata alla immagine cristiana della persona umana. Fra coloro che allora hanno iniziato questo cammino si è progressivamente affermata la guida di Jorge Mario Bergoglio, oggi Papa Francesco.
L'Osservatore Romano