lunedì 17 ottobre 2016

Di che marca sei?

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I regali sono sempre immeritati

di Costanza Miriano

Una volta il mio padre spirituale mi chiese di che marca fossi. Voleva farmi capire che ognuno di noi è marchiato a fuoco dal desiderio di qualcosa che manca, dal desiderio e dal bisogno di Dio. “Io sono di marca vuoto” – diceva lui.
Io guardai quello che indossavo, e realizzai in quel momento che, né quel giorno né mai, avevo niente, assolutamente niente, di marca addosso. Era tutto comprato al mercatino o all’ovs o in posti simili. Erano gli anni dei bambini piccoli, del lavoro precario, delle case da comprare ogni volta che la famiglia si allargava. Soldi pochi, e tutti necessari per acquisti più urgenti dei vestiti.
Adesso le cose sono cambiate. Le finanze si sono un po’ assestate e magari ogni tanto entro anche in qualche negozio, sempre in saldo o outlet o le benedette catene tipo Zara, ma soprattutto da quando ho scritto dei libri ho cominciato a ricevere ogni tanto in regalo delle cose bellissime, a volte anche costose e di lusso. Da diversi amici, soprattutto da uno, che è amico anche di mio marito e che ormai consideriamo parte della famiglia, anche se l’amicizia è nata dalla comunione scoperta leggendo i miei libri.
Non credo, sinceramente, che capiti a tutti quelli che scrivono libri. È che noi ci si ritrova in un popolo, ci si riconosce, si ha voglia di dirselo. Credo che sia il desiderio di dire a qualcuno “mi ritrovo in quello che dici, mi fa piacere sostenerti e farti sentire il mio affetto”. C’è un’amica per esempio che ogni volta che parte qualche bordata di insulti mi fa arrivare a casa un pacco di regali, perché è il suo modo di sostenermi e starmi vicina, come mi ha detto anche attraverso una maglietta con scritto:“Coraggio padron Frodo, non posso portare l’anello per voi, ma posso portare voi”. (Volevo dire dunque a quelli che mi odiano che il bene è sempre più forte e che i loro insulti mi fruttano profumi libri cioccolata dischi scarpe borse gioielli, quindi grazie!).
Anche a me da lettrice capita di sentire questo trasporto verso l’autore che diventa un tuo vero amico attraverso le pagine, e se avessi potuto regalare qualcosa di bello a Dante, Houellebecq, Omero (quelli forse erano tanti, la questione si faceva complicata), Teresa d’Avila – la festeggiamo oggi! -, Dostoevskij, lo avrei fatto volentieri. Leggendo le loro pagine ho tanto desiderato conoscere don Vincent Nagle e Franco Nembrini, e padre Antonio Maria Sicari (e ci sono riuscita!), con Thomas Merton purtroppo non ho fatto in tempo.
Insomma, non trovo strano, anche se ne sono a volte imbarazzata, in difficoltà persino, che qualcuno che si sente vicino al mio modo di pensare desideri, a volte, se capita l’occasione, dimostrarmelo. Anche io cerco di farlo a mia volta come posso.
Perché ne parlo? Perché ogni volta che posto una foto su facebook di un regalo ricevuto – e lo faccio solo quando capisco che alla persona che me lo ha portato possa fare piacere, non che me lo chieda – si scatena una polemica. Sulla mia frivolezza, vanità, sul lusso che non sarebbe cristiano, e via sputando sentenze.
Dunque, innanzitutto c’è questo fastidio dei pareri non richiesti, che ha indotto se ho capito bene anche Linus a disconnettersi; la mia politica è: non entrare mai in polemica. Sotto il livello di guardia, ignorare. Al livello di guardia, avvisare. Sopra, bannare. Leggere il meno possibile. Se tentata di farlo, andare a piegare mutande.
Quanto alla frivolezza, avete ragione, grazie, ma ho già un marito che custodisce severamente la mia sanità mentale, un padre spirituale che discerne, quattro o cinque amici basilari incaricati di cazziarmi ogni volta che lo ritengono necessario. Per loro, in esclusiva, via libera a ogni ora del giorno e della notte. Per la gente semisconosciuta che viene a darmi consigli etici su facebook sto vedendo di affittare un box per appoggiare tutti gli utilissimi pareri.
Quanto al lusso, infine, se è regalato con affetto è un dovere accettarlo e custodirlo con cura come si custodisce un’amicizia. Non c’entra niente con l’essere cristiani, anzi, la bellezza è un dono di Dio. Le vesti di Gesù erano preziose tanto che i soldati non le tagliarono ma se le giocarono a sorte. Chissà, magari erano un regalo di qualcuno.
Io penso di avere tanti modi per aiutare gli altri, e sicuramente faccio molto molto meno di quanto dovrei. Ma tra questi modi non considero certo la possibilità di vendere un regalo ricevuto, tanto meno di rifiutarlo. Anzi, lo considero un regalo che Dio mi fa attraverso i suoi amici. Le considero carezze, i regali piccolissimi e i grandi, ognuno una carezza di Dio. Ho ricevuto veramente di tutto, e ogni volta che la cosa mi ricapita tra le mani, continuamente durante la giornata, penso che Dio mi sta ricordando quanto mi vuole bene: un biglietto, una sottoveste, un messaggio, un fiore, un pocket coffee, una camicia da notte, una crostata, un bracciale, un salame, un oggetto ricamato, una borsa, un pennello da trucco, una crema, un primer, un libro, un portafogli, un paio di occhiali, una maglietta, una tuta di seta, una collana, un paio di orecchini, mamma mia, dovrei andare avanti per ore, mi guardo intorno in questo momento e continuo a vedere gesti concreti di affetto. Ogni volta che li uso o anche solo li guardo penso alla persona che me li ha dati e mi sento parte indegna di un popolo meraviglioso e generoso. Ogni volta penso che se lo sappiamo vedere e accogliere siamo circondati di affetto, e che dalla gratitudine viene la felicità. Ieri sono passata su un marciapiede pochi secondi dopo la caduta di un vaso. Anche di quello sono grata a Dio. Non c’è bisogno che il regalo sia stato comprato da Gucci, per notarlo. Ogni volta che noi diciamo di sì a Dio lui ci prepara delle cose incredibili, ci riempie di regali, e non si fa mai battere in generosità. “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano”.