mercoledì 24 agosto 2016

Un uomo onesto



(Elio Guerriero) Introduzione. Una biografia di Joseph Ratzinger — BenedettoXVI — deve necessariamente prendere l’avvio da una constatazione storico-geografica. Egli nacque in Germania nel 1927 al tempo dell’infausta ascesa del nazismo che tanto orrore doveva lasciare dietro di sé. Come molti cattolici tedeschi, crebbe rifiutando ogni sorta di violenza, ma anche cercando di sopravvivere all’ondata di barbarie che dalla Germania si estese pericolosamente all’intera Europa.
Gli sconvolgimenti bellici lo indussero, nel periodo della formazione, ad accostarsi a due pensatori, Agostino e Bonaventura, che avevano posto il tempo al centro della loro riflessione. Il padre africano collocò l’amore di Dio all’origine della storia e la sua grazia, annunciata da Gesù, come dono concesso alla debolezza dell’uomo. L’antico magisterparigino, una volta divenuto ministro generale dei francescani, insieme alla svolta epocale portata dal poverello di Assisi evidenziò la continuità nella rivelazione di Dio che, culminata in Gesù Cristo, resta viva e operante nel tempo nonostante la debolezza e la corruzione delle istituzioni. Di esse, però, nonostante le illusioni millenariste di Gioacchino da Fiore e dei suoi emuli in ogni epoca, non si può interamente fare a meno. Il regno di Dio annunciato da Gesù è certamente vicino per la presenza della grazia e dei sacramenti ma, ancora una volta, non è nelle possibilità dell’uomo di realizzarlo o anche solo di affrettarne la venuta.
Sostenuto dal pensiero dei due dottori della Chiesa, ma anche di due teologi contemporanei come Henri de Lubac e Hans Urs von Balthasar, al Vaticano II Ratzinger fu un avversario convinto della visione naturalistica della Scolastica che ancora dominava nelle congregazioni e nelle università pontificie romane. Qualche anno dopo, tuttavia, con uguale fermezza prese le distanze da Rahner, Kung, i teologi della liberazione e altri che, a suo avviso, insistendo eccessivamente sulla novità, correvano il rischio di rompere il filo della tradizione. Per Ratzinger questa è come un corso ininterrotto che, andando a ritroso, conduce fino alle origini apostoliche e a Gesù stesso.
A Monaco il cardinale conobbe la Integrierte Gemeinde, un piccolo movimento di cristiani, dall’orrore nazista indotti a ripensare all’eterno Israele e al debito di gratitudine dei cristiani verso il popolo della promessa. Da questo stimolo egli ha elaborato il pensiero delle molte religioni e dell’unica alleanza stipulata da Dio con l’umanità attraverso i figli di Abramo. In questa ottica ha preso forma il suo pensiero della rivelazione avviata nell’alleanza al Sinai e portata a pienezza da Gesù con la nuova legge proclamata sul monte delle beatitudini.
Da prefetto dell’antico Sant’Uffizio, Ratzinger cercò di assecondare l’opera di Giovanni Paolo II, ponendo finalmente termine alle conseguenze nefaste del nazismo e della guerra e richiamando l’Europa non solo alle sue origini cristiane ma anche all’amore, alla bellezza capace di plasmare e dare forme di accoglienza a paesi e città, ad ambienti e paesaggi. 
Da Papa, Benedetto, come già aveva fatto a Monaco, ritenne che il suo compito non consistesse tanto nel riformare antiche istituzioni, ma, guardando più lontano, invitò la Chiesa alla fede e alla metanoia, il cambiamento del cuore richiesto dagli scandali sessuali ed economici.
A tutti gli uomini ricordo che il dubbio non appartiene solamente ai credenti, debitori di spiegare le ragioni della loro fede, ma anche a chi guarda il creato con occhio di simpatia, a chi governa il mondo con responsabilità. L’approdo di Platone nel mondo dello spirito resta una seria possibilità per l’uomo che si interroga con coscienza e lealtà, con la ragione che lo distingue tra le creature. La sua eredità sta nella strenua difesa della verità, bene prezioso per l’intera umanità, nell’enciclica sull’amore, che riguarda tutti gli uomini alla ricerca di un senso, di una possibile coabitazione nella fratellanza. 
Un lascito di grande peso del suo pontificato è anche la rinuncia al ministero petrino. Dopo aver richiamato, insieme con il venerato predecessore, l’Europa alle sue origini e alla sua centralità, ha dato avvio all’apertura della Chiesa verso nuove frontiere della geografia e dello spirito, l’ha finalmente introdotta in quel terzo millennio di cui tanto parlava Giovanni Paolo II.
Non ho scritto questo volume per dare un contributo alla causa di beatificazione di Joseph Ratzinger. Sono invece convinto che la Chiesa farebbe bene a rinunciare alla canonizzazione dei Papi perché, come affermava il padre von Balthasar, questa prassi la espone al rischio di canonizzare se stessa e la sua storia. La vita dei pontefici si svolge comunque sopra il moggio, alla vista degli uomini di tutto il mondo. Il giudizio sul loro operato conviene lasciarlo alla libera ricerca degli studiosi. Anche questo potrebbe essere un segno dell’apertura che tanto sta a cuore al suo successore. 
Ho voluto, invece, raccontare di un uomo onesto, innamorato della Baviera e dei libri, che a malincuore lasciò la cattedra del professore per quella del vescovo. In quello stesso atteggiamento si avviò verso Roma provando la gioia contenuta del seminatore che getta la parola nella speranza che molti la raccolgano. L’accettazione dell’elezione a successore di Giovanni Paolo II fu ancora una volta un atto di obbedienza verso la decisione dei confratelli nell’episcopato. In un famoso saggio egli aveva parlato della struttura martirologica del primato petrino. Nel linguaggio un po’ contorto dei teologi voleva dire che fare il Papa richiede la pazienza e la resistenza alla sofferenza di un martire. Non immaginava di doverlo sperimentare di persona. 
Anche sul trono di Pietro, tuttavia, dimostrò di essere un uomo e un cristiano convinto e coerente. Il deficit nel governo, che gli veniva rimproverato, era accompagnato da un invito alla riforma e alla sequela di Cristo che meritavano un’accoglienza più convinta. La fermezza con la quale affrontò scandali sui quali troppo a lungo si era taciuto non trovo il sostegno di quanti troppo facilmente ne prendevano le distanze. In campo politico, infine, il programma di un nuovo umanesimo per il terzo millennio venne accolto quanto meno con scetticismo da quell’Europa cui pure andavano le preoccupazioni e l’affetto del Papa tedesco.
Un giudizio sul papato di Ratzinger non può prescindere dal gesto delle sue dimissioni, lungamente meditate e annunciate subito dopo l’inizio dell’anno della fede. Non si trattò di un moto di ribellione né di un passo indolore, bensì di un gesto profetico, compiuto alla presenza di Dio e con il suo sostegno. Solo così si può spiegare la pacificazione successiva, la serenità di chi sa di aver compiuto una scelta sofferta ma giusta. Ancora più significativo il comportamento di Ratzinger da Papa emerito. L’obbedienza e la vicinanza a Papa Francesco, soprattutto nei momenti più delicati, tolgono terreno ai cultori del sospetto e trasmettono l’immagine di un uomo che, essendo stato a lungo al comando, non aveva dimenticato la virtù dell’obbedienza. 
Negli ultimi anni Papa Benedetto si è avvicinato a san Benedetto, il padre dell’umanesimo monastico capace di tenere unite la preghiera contemplativa e l’operosità silenziosa e armonica. Nella sua opera Il cristianesimo e le religioni del mondo ricordava la morte di san Benedetto, secondo san Gregorio avvenuta su un luogo elevato. Poi commentava: «Egli può vedere meglio, perché scorge il tutto dall’alto, e sa trovare questa postazione perché e divenuto interiormente grande. E allora la luce di Dio può toccarlo, egli la può riconoscere e in virtù di essa acquisire uno sguardo d’insieme».
Anche il monastero Mater Ecclesiae, dove Papa Benedetto trascorre l’ultimo tratto della sua vita, si trova in alto. Qui, come sant’Agostino, il compagno di viaggio di una vita, ha trovato la pace in Dio, di qui egli resta in comunione con il suo successore e l’intera Chiesa. Anche all’umanità egli guarda con occhi più sereni, con l’amore di Gesu, il buon samaritano che guarisce ogni sorta di ferite, con la misericordia di cui parla il suo successore. A tutti egli lascia il seme con tanta pazienza seminato: alla Chiesa l’invito a una nuova e piu convinta sequela di Gesù, alle religioni e agli Stati l’esortazione a una reciproca collaborazione sulla base di una sana laicità.
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Il libro
Esce il 30 agosto nelle librerie italiane Servitore di Dio e dell’umanità. La biografia di Benedetto XVI (Milano, Mondadori, 2016, pagine 542, euro 24). Il libro è opera di Elio Guerriero, a lungo responsabile editoriale presso la Jaca Book e le Edizioni San Paolo, per oltre un ventennio direttore dell’edizione italiana della rivista «Communio». Negli anni Ottanta, ha conosciuto il cardinale Ratzinger e ha curato la traduzione di molte sue opere e alcune antologie. Collaboratore dell’edizione in italiano dell’opera omnia (Libreria editrice vaticana), in questo libro delinea un ritratto del teologo e del Pontefice articolato in diciannove capitoli. «Già negli anni giovanili, e successivamente negli anni di episcopato a Monaco, Benedetto XVI si rese conto che la comunità dei credenti era destinata a diventare minoranza in Europa» scrive in conclusione l’autore. E continua: «Insomma, meglio una comunità numericamente ridotta ma partecipe della vita liturgica e sacramentale e pronta a dare testimonianza della propria fede. Solo una comunità del genere, che sente la comprensione dei pastori, ha un futuro davanti a sé, si stringe a Cristo, il Figlio di Dio, il buon Samaritano che cura le ferite di tutti gli uomini. Per costoro, il Papa ha scritto questo ultimo libro, che non è un’opera di erudizione. Nasce, invece, dal desiderio di generare un amore appassionato per Gesù di Nazaret. Anche questa è una grazia del pontificato di Benedetto, tenacemente perseguita e portata a termine con la cura amorevole del pastore e la sapienza matura del teologo». 
Del libro anticipiamo la prefazione di Papa Francesco, un’intervista con Benedetto XVI, pubblicata in appendice e quasi per intero l’introduzione.
L'Osservatore Romano