sabato 31 marzo 2012

Eccolo, è Lui!

Celebriamo domani 1 aprile la Domenica delle Palme ed entriamo così nella Settimana Santa. 

La proclamazione della Passione del Signore fa presente in questa domenica delle Palme il cuore di tutto il cristianesimo che consiste nell’esserediscepoli del Maestro che entra nella morte senza opporre resistenza, amando i suoi crocifissori fino a portare nella sua carne il loro peccato assieme al nostro. Cristianesimo estremo? No, ma vocazione al martirio per far presente oggi la misericordia e il perdono.
Buona domenica. pb. Vito Valente.

Di seguito i testi della liturgia, qualche commento e qualche testo patristico.
   
DOMENICA DELLE PALME E DELLA
PASSIONE DEL SIGNORE  

COMMEMORAZIONE DELL'
INGRESSO DI GESU' IN GERUSALEMME



 
BENEDIZIONE DEI RAMII fedeli sono radunati in una chiesa succursale o in altro luogo; portano in mano i rami di ulivo o di palma.All'arrivo del sacerdote si canta l'antifona seguente o un altro canto adatto.
Antifona d'Inizio   Mt 21,9
Osanna al Figlio di Davide.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore:
è il Re d'Israele.
Osanna nell'alto dei cieli.

Il sacerdote saluta i presenti e poi con brevi parole illustra il significato  dei gesti che stanno  per compiere e li invita a una partecipazione attiva e consapevole:
Fratelli carissimi,
questa assemblea liturgica è preludio alla Pasqua del Signore, alla quale ci stiamo preparando con la penitenza e con le opere di carità fin dall'inizio della Quaresima.
Gesù entra in Gerusalemme per dare compimento al mistero della sua morte e risurrezione.
Accompagniamo con fede e devozione il nostro Salvatore nel suo ingresso nella città santa, e chiediamo la grazia di seguirlo fino alla croce, per essere partecipi della sua risurrezione.

Il sacerdote benedice i rami, che, dopo la processione, saranno portati nelle case come segno di fede:
Preghiamo.
Dio onnipotente ed eterno, benedici 
 questi rami [di ulivo], e concedi a noi tuoi fedeli, che accompagniamo esultanti il Cristo, nostro Re e Signore, di giungere con lui alla Gerusalemme del cielo. Egli vive e regna nei secoli dei secoli.


Oppure:

Accresci, o Dio, la fede di chi spera in te, e concedi a noi tuoi fedeli, che rechiamo questi rami in onore di Cristo trionfante, di rimanere uniti a lui, per portare frutti di opere buone. Per Cristo nostro Signore.

 Vangelo - Anno B   Mc 11,1-10
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
 

Dal vangelo secondo Marco
 

Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”».
Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare.
Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!».

Oppure:  Gv 12,12-16
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, la grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!».
Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina.
I suoi discepoli sul momento non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che di lui erano state scritte queste cose e che a lui essi le avevano fatte.

PROCESSIONE IN ONORE DI CRISTO RE

Il celebrante, o un altro ministro, può fare un'esortazione con queste parole o con altre simili.
Imitiamo, fratelli carissimi, le folle di Gerusalemme,
che acclamavano Gesù, Re e Signore,
e avviamoci in pace.


Ha quindi inizio la processione verso la chiesa, nella quale si celebra la Messa. I ministranti e i fedeli portano in mano i rami benedetti. Si eseguono i canti seguenti o altri adatti alla celebrazione.
Salmo 23alternato con la seguente antifona. 
  

Le folle degli Ebrei, portando rami d'ulivo,
andavano incontro al Signore e acclamavano a gran voce:
Osanna nell'alto dei cieli.


Del Signore è la terra e quanto contiene,
l'universo e i suoi abitanti.
E' lui che l'ha fondata sui mari,
e sui fiumi l'ha stabilita.

Chi salirà il monte del Signore,
chi starà nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non pronunzia menzogna,
chi non giura a danno del suo prossimo.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.

Sollevate, porte, i vostri frontali,
alzatevi, porte antiche,
ed entri il re della gloria.
Chi è questo re della gloria?
Il Signore forte e potente,
il Signore potente in battaglia.

Sollevate, porte, i vostri frontali,
alzatevi, porte antiche,
ed entri il re della gloria.
Chi è questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria. 


Salmo 46, alternato con la seguente antifona.  

Le folle degli Ebrei, lungo la strada stendevano i mantelli,
e acclamavano a gran voce:
Osanna al Figlio di Davide.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.


Applaudite, popoli tutti,
acclamate Dio con voci di gioia;
perché terribile è il Signore, l'Altissimo,
re grande su tutta la terra.

Egli ci ha assoggettati i popoli,
ha messo le nazioni sotto i nostri piedi.
La nostra eredità ha scelto per noi,
vanto di Giacobbe suo prediletto.
Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.

Cantate inni a Dio, cantate inni;
cantate inni al nostro re, cantate inni;
perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.

Dio regna sui popoli,
Dio siede sul suo trono santo.
I capi dei popoli si sono raccolti
con il popolo del Dio di Abramo,
perché di Dio sono i potenti della terra:
egli è l'Altissimo. 

 Inno a Cristo Re
Il coro canta le strofe, tutti rispondono con il ritornello.Gloria a te, lode in eterno, Cristo re, salvatore,
come i fanciulli un tempo dissero in coro: Osanna.

Gloria a te, lode in eterno, Cristo re, salvatore,
come i fanciulli un tempo dissero in coro: Osanna.


Tu sei il re di Israele, di Davide l'inclita prole,
che, in nome del Signore, re benedetto vieni.

Tutti gli angeli in coro ti lodan nell'alto dei cieli,
lodan te sulla terra uomini e cose insieme.

Tutto il popolo ebreo recava a te incontro le palme,
or con preghiere e voti, canti eleviamo a te.

A te che andavi a morte levavano il canto di lode,
ora te nostro re, tutti cantiamo in coro.

Ti furono accetti, tu accetta le nostre preghiere,
re buono, re clemente, cui ogni bene piace.

 
Mentre la processione entra in chiesa, si canta il seguente responsorio,
o un altro canto che si riferisce all'ingresso del Signore:
Mentre il Cristo entrava nella città santa,
la folla degli Ebrei, preannunziando la risurrezione
del Signore della vita,
agitava rami di palma e acclamava:
Osanna nell'alto dei cieli.


Quando fu annunziato
che Gesù veniva a Gerusalemme,
il popolo uscì per andargli incontro;
agitava rami di palma e acclamava:
Osanna nell'alto dei cieli.
  
La processione si conclude con l'orazione (o colletta) della Messa; si tralasciano quindi i riti di introduzione. La Messa prosegue poi con la Liturgia della Parola.


* * *

Antifona d'Ingresso  Sal 23,9-10
Sei giorni prima della solenne celebrazione della Pasqua, quando il Signore entrò in Gerusalemme, gli andarono incontro i fanciulli: portavano in mano rami di palma, e acclamavano a gran voce: 
Osanna nell'alto dei cieli:
Gloria a te che vieni,
pieno di bontà e di misericordia.

 

Sollevate, porte, i vostri frontali,
alzatevi, porte antiche,
ed entri il re della gloria.
Chi è questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria.
 

Osanna nell'alto dei cieli:
Gloria a te che vieni,
pieno di bontà e di misericordia.


Colletta

O Dio onnipotente ed eterno, che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce, f
a' che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua passione, per partecipare alla gloria della risurrezione. Egli è Dio...
LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura   
Is 50,4-7
Non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi, sapendo di non restare confuso.

Dal libro del profeta Isaìa

Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,
perché io sappia indirizzare
una parola allo sfiduciato.

Ogni mattina fa attento il mio orecchio
perché io ascolti come i discepoli.
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro.

Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia
agli insulti e agli sputi.

Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso.


SALMO RESPONSORIALE  
Dal Salmo 21
Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?
Si fanno beffe di me quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
«Si rivolga al Signore; lui lo liberi,
lo porti in salvo, se davvero lo ama!».

Un branco di cani mi circonda,
mi accerchia una banda di malfattori;
hanno scavato le mie mani e i miei piedi.
Posso contare tutte le mie ossa.

Si dividono le mie vesti,
sulla mia tunica gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, vieni presto in mio aiuto.

Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all’assemblea.
Lodate il Signore, voi suoi fedeli,
gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe,
lo tema tutta la discendenza d’Israele.


Seconda Lettura
  Fil 2,6-11
Cristo umiliò se stesso, per questo Dio lo esaltò.


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippèsi

Cristo Gesù,
pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.

Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre. 


Canto al Vangelo
   Fil 2,8-9
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome.

Lode e onore a te, Signore Gesù!
  
  
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco

Vangelo  Mc 14,1-15,47
La passione del Signore 

Indicazioni per la lettura dialogata: X = Gesù;  = Cronista;  =Discepoli e amici;  =Folla;  =Altri personaggi


Cercavano il modo di impadronirsi di lui per ucciderlo 
C Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Àzzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturare Gesù con un inganno per farlo morire. Dicevano infatti: A «Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo».
Ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura 
C Gesù si trovava a Betània, nella casa di Simone il lebbroso. Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo. Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: A «Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». C Ed erano infuriati contro di lei.
Allora Gesù disse: 
X «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me. I poveri infatti li avete sempre con voi e potete far loro del bene quando volete, ma non sempre avete me. Ella ha fatto ciò che era in suo potere, ha unto in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto».Promisero a Giuda Iscariota di dargli denaro 
C Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù. Quelli, all’udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed egli cercava come consegnarlo al momento opportuno.
Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli? 
Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: 
D «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». C Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: 
X «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». C I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.Uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà 
Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici. Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: 
X «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà». C Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: D «Sono forse io?». C Egli disse loro: X «Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!».Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue dell’alleanza 
C E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: 
X«Prendete, questo è il mio corpo». C Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro:X«Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai 
C Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Gesù disse loro: 
X «Tutti rimarrete scandalizzati, perché sta scritto: “Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse”. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea». C Pietro gli disse: D «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!». Gesù gli disse: X «In verità io ti dico: proprio tu, oggi, questa notte, prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». C Ma egli, con grande insistenza, diceva: D «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». C Lo stesso dicevano pure tutti gli altri.Cominciò a sentire paura e angoscia 
Giunsero a un podere chiamato Getsèmani, ed egli disse ai suoi discepoli: 
X «Sedetevi qui, mentre io prego». C Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: X«La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate». C Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora. E diceva: X «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu». C Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: X «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». CSi allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole. Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli. Venne per la terza volta e disse loro: X «Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».Arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta 
C E subito, mentre ancora egli parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici, e con lui una folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. Il traditore aveva dato loro un segno convenuto, dicendo: D «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo e conducetelo via sotto buona scorta». C Appena giunto, gli si avvicinò e disse: D «Rabbì» C e lo baciò. Quelli gli misero le mani addosso e lo arrestarono. Uno dei presenti estrasse la spada, percosse il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio. Allora Gesù disse loro: 
X «Come se fossi un brigante siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno ero in mezzo a voi nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Si compiano dunque le Scritture!». C Allora tutti lo abbandonarono e fuggirono. Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo.Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto? 
Condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del palazzo del sommo sacerdote, e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco. I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui e le loro testimonianze non erano concordi. Alcuni si alzarono a testimoniare il falso contro di lui, dicendo: 
A «Lo abbiamo udito mentre diceva: “Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d’uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d’uomo”». C Ma nemmeno così la loro testimonianza era concorde. Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: A «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». C Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: A «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?». C Gesù rispose: 
X «Io lo sono!
E vedrete il Figlio dell’uomo
seduto alla destra della Potenza
e venire con le nubi del cielo».
C Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: A «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». C Tutti sentenziarono che era reo di morte. Alcuni si misero a sputargli addosso, a bendargli il volto, a percuoterlo e a dirgli: F «Fa’ il profeta!». C E i servi lo schiaffeggiavano.
Non conosco quest’uomo di cui parlate 
Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: 
A «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù». C Ma egli negò, dicendo: D «Non so e non capisco che cosa dici». C Poi uscì fuori verso l’ingresso e un gallo cantò. E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: A «Costui è uno di loro». C Ma egli di nuovo negava. Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: A «È vero, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galileo». C Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: D«Non conosco quest’uomo di cui parlate». C E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». E scoppiò in pianto.
Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei? 
E subito, 
[al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato. Pilato gli domandò: A «Tu sei il re dei Giudei?». C Ed egli rispose: 
X «Tu lo dici». C I capi dei sacerdoti lo accusavano di molte cose. Pilato lo interrogò di nuovo dicendo: A«Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!». C Ma Gesù non rispose più nulla, tanto che Pilato rimase stupito.
A ogni festa, egli era solito rimettere in libertà per loro un carcerato, a loro richiesta. Un tale, chiamato Barabba, si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. Pilato rispose loro: 
A «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». C Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. Pilato disse loro di nuovo: A «Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei?». C Ed essi di nuovo gridarono: F«Crocifiggilo!». C Pilato diceva loro: A «Che male ha fatto?». C Ma essi gridarono più forte: F «Crocifiggilo». C Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
Intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo 
Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo. Poi presero a salutarlo: 
F«Salve, re dei Giudei!». C E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano davanti a lui. Dopo essersi fatti beffe di lui, lo spogliarono della porpora e gli fecero indossare le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
Condussero Gesù al luogo del Gòlgota 
Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.
Con lui crocifissero anche due ladroni 
Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso. Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. La scritta con il motivo della sua condanna diceva: «Il re dei Giudei». Con lui crocifissero anche due ladroni, uno a destra e uno alla sua sinistra.
Ha salvato altri e non può salvare se stesso! 
Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: 
F«Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!». C Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: A «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!». C E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
Gesù, dando un forte grido, spirò 
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: 
X «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», C che significa: X «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». C Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: A «Ecco, chiama Elia!». C Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: A «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». C Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.(Qui si genuflette e si fa una breve pausa)

Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: 
A«Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».]
C Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.
 
Giuseppe fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro 
Venuta ormai la sera, poiché era la Parascève, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatèa, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch’egli il regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, gli domandò se era morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro. Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva posto.
  

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COMMENTI

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DOMENICA DELLE PALME – B

È un tesoro inestimabile quello che la Chiesa dischiude alla nostra contemplazione nella Liturgia odierna: con la processione d’ingresso, ci siamo affiancati ai discepoli e alla folla osannante, acclamando a Cristo e osservandoLo entrare in Gerusalemme su di un puledro, umile come umile entrò in questo mondo.
Nella prima Lettura e nel Salmo, abbiamo ascoltato la “trepidazione” con la quale tutto l’Antico Testamento attende il Salvatore, protendendosi verso il Monte Calvario e avendo già davanti agli occhi la scena della Crocifissione.
Nella proclamazione della Passione, infine, siamo stati messi dinanzi alla grande Ora della nostra Salvezza, vivendo in anticipo tutto quanto si dipanerà in questa Settimana Santa, fino al silenzio del sepolcro.
Giungiamo, quindi, alla grande Ora del Signore, preparati dalle pratiche di preghiera, digiuno ed elemosina. Ascoltiamo le parole del Signore Gesù e contempliamo i Suoi gesti, traboccanti di amore e di misericordia, dopo aver sperimentato la nostra debolezza di fronte alla potenza del male, ma anche la luce della Misericordia divina, che sola ci può rinnovare e rendere saldi nella verità. Una specialissima luce ci è provenuta, poi, dal Mistero dell’Annunciazione, nel quale abbiamo celebrato i primi istanti dell’umana esistenza del Figlio di Dio, il Quale – recita la seconda Lettura – «pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò Se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6). Al “sì” pronunciato da Maria di Nazareth, il Signore Gesù ha preso carne nel grembo immacolato di Lei, dando inizio a quell’Amore, davvero sacerdotale, che troverà compimento nel grido della Croce.
Ed è da una prospettiva privilegiata, ancora, che assistiamo ai fatti narrati dal Vangelo, poiché li contempliamo dentro il “noi” della Chiesa, che, animata dallo Spirito, sa di essere generata dal costato aperto del Signore ed è capace di scorgere quanto gli Apostoli allora non capivano: l’immenso amore con cui Cristo istituisce il Sacramento della Sua Presenza e del Suo Sacrificio, pur sapendo che sarebbe stato incompreso, tradito ed abbandonato da coloro che più amava; ci è dato di scorgere l’amore e la mitezza, con cui Cristo afferma la propria identità di Figlio di Dio ed accetta di essere insultato, schiaffeggiato, schernito, flagellato e crocifisso.
Questo punto di vista privilegiato, tuttavia, ci richiama anche ad una radicale umiltà, poiché avendo noi assistito alla viltà con cui Giuda consegna il Maestro ai capi dei sacerdoti, dopo aver condiviso con Lui tanto tempo ed avendo accompagnato Pietro nel cortile del sommo sacerdote per vederlo rinnegare Cristo tre volte, siamo stati posti di fronte alla nostra stessa fragile libertà. Fragile allo stesso modo, peccatrice allo stesso modo, infatti, la nostra libertà, seppur illuminata e fortificata, non viene, mai e in alcun modo, “sostituita” dalla grazia.
Che cosa, quindi – ci domandiamo –, ha potuto salvare Pietro, e non Giuda, dalla schiavitù del proprio tradimento, dal momento che entrambi erano Apostoli, entrambi amati visceralmente da Cristo? Cosa potrà salvare noi dalle tenebre del peccato? Che cosa, in definitiva, ci permetterà di rialzarci se non possiamo confidare su noi stessi? Certamente, non sarà un generico moralismo, perché chi si era scandalizzato per lo spreco di olio profumato, un attimo dopo abbandonava Gesù; non sarà una fiera e farisaica passione per Dio, perché, in virtù di essa, il sommo sacerdote si è stracciato le vesti e ha accusato di bestemmia quello stesso Dio che voleva difendere; non sarà nemmeno il personale impegno, perché Pietro, aveva spergiurato che sarebbe morto piuttosto che rinnegare il Maestro, e poche ore dopo lo vedevamo scoppiare in pianto, al canto del gallo, spogliato di tutta la sua spavalderia.
Che cosa, quindi, ci permetterà di resistere sotto la Croce, subendo il disprezzo del mondo e persino la morte? Solo l’essersi sinceramente “compromessi” con Cristo, totalmente e liberamente coinvolti con Lui, permettendoGli così di posare, almeno una volta, sulla nostra vita, quello sguardo d’Amore che precede ogni merito ed abbraccia ogni limite e peccato. Domandiamo alla Vergine Addolorata, che silenziosamente sta e resiste sotto la Croce, che accada per noi la possibilità di questo totale coinvolgimento, e la grazia di dire “sì”; quel “sì” col quale Lei, la Benedetta, ora, ci genera nel dolore. Amen!

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Preghiera dei fedeli

Introduzione del celebrante
Siamo entrati con Gesù nella Gerusalemme della sua Passione e Morte. Gli domandiamo la grazia di seguirlo nei giorni di questa Settimana Santa

1.    Signore Gesù, ti domandiamo di seguirti nei giorni della tua Passione, Morte, Risurrezione. Donaci di essere vicini a te come discepoli, amici e familiari
Noi Ti preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

2.    Ti affidiamo Signore Gesù la tua Chiesa che ti accompagna in questi giorni di passione insieme con il nostro Papa Benedetto, i nostri pastori e tutte le comunità cristiane,
                   Noi ti preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

3.    Per quanti condividono nell’anima e nel corpo la passione del Signore: malati, poveri, abbandonati, esiliati. Ti preghiamo per tutti  cristiani perseguitati nel mondo,
                       Noi ti preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

4.    Per tutti i fratelli della nostra comunità parrocchiale; perché possano incontrare il Signore nel sacramento della confessione pasquale e nel sacramento dell’Eucaristia
Noi ti preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

Conclusione del celebrante
O Signore Gesù, ti domandiamo la grazia di stare accanto a te in questa settimana come Maria, Giovanni, le donne e i discepoli. Donaci a amarti con tutto il cuore. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.
* * *


2. Scola


1. «Sei benedetto Signore! Tu che salisti al monte, tu che spirasti in croce, tu che gustasti la morte, tu che glorioso regni» (Alla Comunione). Così ci farà pregare il Canto alla Comunione delineando, con un potente “crescendo”, l’ultimo tratto del cammino umano del nostro Redentore, dalla Passione alla Gloria. «Gustasti la morte», cioè ne bevesti il calice fino all’ultima goccia, assaporandola fino in fondo.
Sorelle e fratelli carissimi, questo è il nostro Dio: Uno che non si sottrasse in nulla all’orrore della sofferenza e della morte. Uno che sovrabbondò nell’amore per aprirci l’accesso alla sovrabbondanza della vita. Con la processione, le palme, gli ulivi, i canti ed i salmi abbiamo voluto immedesimarci con il popolo che accolse l’ingresso di Gesù a Gerusalemme con gli Osanna.
La Domenica delle Palme è il portico della Settimana Autentica: i fatti della vita di Gesù che la Chiesa nostra Madre, a partire da oggi, ci farà vivere rappresentano la verità presente nell’Eucaristia illuminata dalla Parola di Dio. Danno senso pieno all’esistenza di ciascuno di noi e di tutti gli uomini di ogni tempo, di tutta la storia. Viviamo quindi con fede questa Settimana eminentecome figura del percorso della nostra vita.
2. «Osanna al re d’Israele!» (VangeloGv 12,13) grida la folla uscendo incontro a Gesù. Con la sua acclamazione esprime la speranza che l’attesa messianica del popolo d’Israele finalmente si realizzi. «Non temere figlia di Sion, il tuo re viene…» (VangeloGv 12,15). Ma inevitabilmente il popolo riveste questa attesa con le sue immagini. Le stesse che suscitano sentimenti opposti nei capi del popolo e nei sacerdoti che giungono fino a tramare di ucciderLo.
Anche il contesto in cui Giovanni colloca la narrazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme è ad un tempo carico di segnali di morte (oltre alla decisione del sinedrio, per cui Egli sarà costretto a nascondersi, l’unzione di Betania interpretata da Gesù stesso come annuncio della sua sepoltura…), ma anche da promesse e presagi di vita (le folle che Lo seguono, la fede di molti Giudei, l’episodio dei Greci che vogliono vedere Gesù…).
L’evento dell’entrata a Gerusalemme è quindi un evento dalle varie valenze, vissuto in maniera profondamente diversa dalla folla, dai capi e dal Signore Gesù. Come lo stiamo vivendo noi, qui ed ora?
Come sciogliamo questa ambivalenza?
Noi sappiamo che Gesù ci rivela chi è il nostro Dio: un Padre che ama la libertà dei figli a tal punto da non sopraffarla mai, senza mai cessare di pro-vocarla con la forza della verità. Essa ci scuote dalla “gaia rassegnazione” in cui spesso, quasi senza accorgercene, scivoliamo, incapaci - o semplicemente - stanchi di cercare il senso pieno della nostra esistenza.
3. «Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina» (Prima LetturaZc 9,9) annuncia il profeta. E Giovanni ne dà piena conferma.
Benedetto XVI nel primo volume del suo Gesù di Nazaret ci spiega che la parola greca per dire mansueto, umile (praýs) - la stessa impiegata anche nelle Beatitudini - è una parola usata tanto per descrivere chi è Gesù come per dire l’identità della Chiesa. Una parola che dice la natura della nuova “regalità” inaugurata da Gesù. La Sua mansuetudine è la sua obbedienza al disegno del Padre. Questa deve essere anche la nostra, di noi che portiamo il Suo nome: cristiani. La Chiesa nasce dal costato di Cristo e deve ogni giorno rinascere dal cuore di ogni fedele.
4. «I suoi discepoli sul momento non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che di lui erano state scritte queste cose e che a lui essi le avevano fatte» (Vangelo,Gv 12,16). I discepoli sciolgono l’ambivalenza di cui, come il popolo erano vittime, solo di fronte alla Sua glorificazione. Con questo termine il Vangelo di Giovanni sintetizza l’evento della Pasqua di morte e resurrezione. È il termine che indica la manifestazione, il peso di Gesù nel mondo.
Così afferma San Paolo: al nostro Dio «è piaciuto che abiti in Cristo tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (cf. EpistolaCol 1,20).
La profezia di Zaccaria - «Egli annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra» (Prima LetturaZc 9,10) -si compie quindi non tanto nell’accoglienza di Gesù all’entrata a Gerusalemme, ma sul Calvario.
Gesù «con la sua obbedienza ci chiama dentro questa pace, la pianta dentro di noi» (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret 1,106). Infatti nell’azione eucaristica il Re della pace ci educa a riconoscere che non c’è possibilità di bene per sé e di edificazione di vita buona a tutti i livelli dell’umana convivenza che non passi dal dono di sé. Se questo è vero, come è vero, a nessuno sfugga la grande attualità della Pasqua di nostro Signore.
5. «Egli è principio,primogenito di quelli che risorgono dai morti,perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose» (Epistola, Col 1, 18). In Cristo si attua la signorìa di Dio sul mondo creato e redento, di cui Egli ci vuole partecipi. Ma di quale signorìa, di quale regalità si tratta? Ce lo indica il CCC 1884. Il Signore «non ha voluto riservare solo a sé l'esercizio di tutti i poteri. Egli assegna ad ogni creatura le funzioni che essa è in grado di esercitare, secondo le capacità proprie della sua natura. Questo modo di governare deve essere imitato nella vita sociale. Il comportamento di Dio nel governo del mondo, che testimonia un profondissimo rispetto per la libertà umana, dovrebbe ispirare la saggezza di coloro che governano le comunità umane. Costoro devono comportarsi come ministri della provvidenza divina» (CCC 1884).
6. Apprestiamoci a vivere, qui nella nostra cattedrale e nelle nostre comunità, la potente liturgia della Settimana autentica. Lasciamoci com-muovere dall’invito di Andrea di Creta: «Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione, e imitiamo coloro che gli andarono incontro, non però per stendere davanti a Lui, lungo il suo cammino, rami di olivo o di palme, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione, dinnanzi ai suoi piedi, le nostre persone».
«... stendere le nostre persone…». Che significa in concreto? Prostrarci nell’umile riconoscimento dei nostri peccati nel sacramento della Confessione, donare qualcosa di noi stessi e dei nostri beni a chi è nel bisogno materiale e spirituale, fare, mediante la partecipazione alla liturgia, intenso spazio al Crocifisso glorioso nelle nostre giornate, conformarci non a questo mondo ma al pensiero di Cristo. In una parola, con l’intercessione della Vergine Santissima, di San Giuseppe, di Sant’Ambrogio e di San Carlo invocare quel profondo cambiamento che abbiamo inseguito lungo tutta la Quaresima: la nostra conversione. Nella morte e Risurrezione di Gesù, la nostra morte e la nostra risurrezione. Amen.

3. Luciano Manicardi (Bose) 
Processione
Mc 11,1-10
Il vangelo presenta il cammino di avvicinamento di Gesù a Gerusalemme, movimento che introduce Gesù negli eventi dell’ultima settimana della sua vita e dunque nella sua passione e morte. Gesù appare abitato da grande autorità: egli sa il senso del cammino che sta compiendo, sa dove lo sta portando, e lo accoglie con libertà e risolutezza (cf. Mc 10,32-34). La sua autorevolezza, il suo prevedere gli eventi, la sua determinazione, nascono dalla sua conoscenza della volontà di Dio e dalla sua obbedienza alla parola della Scrittura. La sua è l’autorevolezza dell’obbediente. La volontà di Dio diviene volontà di Gesù.
Il gesto profetico che Gesù decide di compiere inviando due discepoli a cercare, sciogliere e condurgli un asino che gli servirà di cavalcatura, non è equiparabile alle requisizioni che i re potevano permettersi di fare (cf. 1Sam 8,16). Gesù si premura di dire ai due discepoli che non tratterrà per sé l’asino, ma lo restituirà subito (cf. Mc 11,3). Il testo sottolinea lapovertà di Gesù, il suo essere un paradossale signore: signore che ha bisogno di un asino, se lo fa portare, ma promette di restituirlo subito. Gesù dispone gli eventi perché alla luce delle Scritture emerga la qualità messianica del cammino verso Gerusalemme: l’asino è la cavalcatura del Messia povero e mite di Zc 9,9; è l’asino “legato” di cui aveva parlato Giacobbe morente a suo figlio Giuda benedicendolo nella profezia messianica di Gen 49,10-11; il corteo che accompagnerà questo ingresso mostra tratti regali, come appare dai mantelli stesi sulla strada e dalle parole di ovazione (cf. 2Re 9,13). E tuttavia la concezione messianica che Gesù vive è molto distante da quella che viene intesa dalla folla, come appare dalle parole del salmo 118 utilizzate dai presenti per acclamare re Gesù (cf. Sal 118,25-26 in Mc 11,9-10) e da quelle, tratte dallo stesso salmo, che Gesù userà per rivelare il rigetto del Figlio da parte dei vignaioli, cioè il rigetto dell’inviato di Dio da parte dei capi d’Israele, insomma, per annunciare l’evento pasquale:
La pietra che i costruttori hanno scartata
è diventata testata d’angolo;
dal Signore è stato fatto questo
ed è mirabile agli occhi nostri (Sal 118,22-23 in Mc 12,10-11).

La messianicità di Gesù si manifesterà negli eventi tragici e gloriosi della morte e della resurrezione. L’ingresso in Gerusalemme è un atto che mette in lucela difficile interpretazione della figura di Gesù. L’acclamazione: “Benedetto il regno del nostro padre David” proietta su Gesù la messianicità dinastica dei discendenti di David e connette a lui le attese politico-nazionalistiche connesse a tale immagine messianica tradizionale. Viene tolta a Gesù la sua novità disarmante e dirompente e gli viene attribuita la dimensione già nota del “regno del nostro padre David”. I presenti fanno rientrare Gesù nella loro attesa, nei loro desiderata, e così ne ammortizzano lo scandalo; quasi che bastasse dire: “Abbiamo David per padre” per essere beneficiari della salvezza! Gesù annuncia e vive “il Regno di Dio”, non “di David”, e tale regalità apparirà nell’evento pasquale.
Anche l’invocazione “Osanna”, che letteralmente significa “Signore, salva!”, diviene formula stereotipa che non invoca ma celebra, non supplica ma manifesta una certezza, non chiede ma presume. Mentre invochiamo salvezza già presumiamo salvezza. Mentre dichiariamo di attendere il Signore, ne addomestichiamo la figura perché ci confermi nelle nostre attese. E così il testo vaglia il possibile traviamento delle nostre ermeneutiche esistenziali, ecclesiali e storiche di Gesù e del suo cammino. Il cammino di Gesù non è solo sottoposto al rischio dell’incomprensione, ma anche della cattiva comprensione, dell’interpretazione interessata, che non scomoda, non mette in crisi, ma conferma.
“Un uomo impara in base alle vie che percorre”, dice un testo della tradizione ebraica. La chiesa, all’inizio della settimana santa è più che mai chiamata a interrogarsi sui sentieri che percorre e a imparare dal cammino di Gesù per giungere a camminare tra gli uomini come lui ha camminato.

Celebrazione eucaristica
Anno B
Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47
La figura del Servo del Signore, che nell’obbedienza alla parola di Dio e nella fiducia in lui trova la forza per sopportare violenze e sofferenze (I lettura), introduce alla contemplazione di Gesù nella sua passione e morte (vangelo), evento culminante del movimento di abbassamento e obbedienza del Figlio di Dio (II lettura): “Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,8).
Il racconto marciano della passione sottolinea quell’aspetto di paradosso e di ossimoro caro al secondo vangelo. La potenza di Dio si manifesta nella debolezza umana di Gesù; la morte infamante e orrenda di Gesù lo proclama Figlio di Dio (cf. Mc 15,39); quell’uomo vilipeso, quel corpo percosso, quel volto negato (cf. Mc 14,65) è diretta rivelazione del volto di Dio. Gesù appare profeta ridotto al mutismo (cf. Mc 14,65), veggente a cui è velata la faccia (cf. Mc 14,65), re deriso (cf. Mc 15,12-13), Messia impotente (cf. Mc 15,32), Salvatore perduto (cf. Mc 15,29-32). Le immagini religiose e sacrali con cui l’uomo ammanta il divino devono passare attraverso l’impietoso vaglio della passione e della morte di Gesù perché si possa incontrare il vero volto di Dio.

La passione ci introduce nell’ultima fase della vita di Gesù. Fase scandalosa che mette alla prova lo sguardo di fede dell’uomo e costituisce un angolo prospettico che sembra smentire tutto ciò che Gesù ha fatto ed è stato. Colui che ha attirato folle e creato una comunità itinerante di discepoli viene rigettato dalle folle e abbandonato dai discepoli. Colui che ha curato e guarito molti malati, ora si trova nell’impotenza di salvare chicchessia. Colui che ha annunciato il vangelo del Regno con potenza di parola, ora entra progressivamente nel silenzio. Colui che ha vissuto una vita di fedeltà al Dio unico, si vede condannato dalle legittime autorità religiose del popolo di Dio. Colui che ha sempre nutrito una relazione personalissima di confidenza con il Dio che chiamava “Abbà”, ora gli si rivolge con una domanda che grida l’enigma del sentirsi abbandonato da Lui. In questi eventi vi è qualcosa che sembra dichiarare falso tutta la vita precedente di Gesù, la sua fede, il suo amore, la sua speranza. E così un’intera vita spesa nella donazione di sé per gli uomini e nella fedeltà obbediente al Padre, nell’amare e nel benedire, si trova sepolta sotto il peso dell’infamia che Gesù vive e subisce nei suoi ultimi momenti. E anche il discepolo può terminare la sua vita sotto il peso infamante di una calunnia o di una caduta che ottenebrano la luce che ha sparso in tutta la sua vita: ma un uomo è sempre tutta la sua vita, non un solo momento, fosse pure quello estremo. La passione di Gesù purifica lo sguardo del credente liberandolo dalla tentazione di giudicare, dare sentenze, condannare.
Nella passione emerge poi la signoria di Gesù. Egli affronta gli eventi con la grande libertà che gli deriva dall’obbedienza alle Scritture (cf. Mc 14,18.27.62) e con la forza che gli viene dalla preghiera (cf. Mc 14,32-42): preghiera inesaudita ma che gli fa accettare il cammino tragico che lo attende come occasione di fede, speranza e amore nel suo Dio (“Non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”: Mc 14,36). Questo libero abbandono al volere del Padre è la forza profonda di Gesù. Forza che manca ai discepoli che non vegliano né pregano e sono perciò sorpresi dagli eventi e abbandonano la sequela (cf. Mc 14,50). La fine di Gesù è anche il momento del fallimento della sua comunità, dello scacco del gruppo di coloro che egli aveva scelto perché stessero con lui. Eppure, proprio allora sorgono altri discepoli, là dove nessuno se li sarebbe aspettati. La donna di Betania che profuma il corpo di Gesù “in vista della sepoltura” (cf. Mc 14,3-9), Simone di Cirene che porta la croce dietro a Gesù (Mc 15,21), il centurione che confessa “Figlio di Dio” il crocifisso (Mc 15,39), Giuseppe di Arimatea, che aspettava il Regno di Dio e riceve il corpo di Gesù (cf. Mc 15,43-46). Il chicco di grano caduto a terra trova inattesi e impensabili terreni buoni che lo accolgono e portano frutto.
* * *
4. Enzo Bianchi (Bose)

Il racconto della passione di Gesù, che la liturgia oggi ci propone accanto a quello dell’entrata festosa di Gesù in Gerusalemme (Mc 11,1-10), occupa quasi un quinto dell’intero vangelo secondo Marco; non potendo dunque farne un commento puntuale, mi limiterò a uno sguardo d’insieme che ne evidenzi gli elementi principali.
 Questa narrazione mette alla prova il nostro sguardo di fede su Gesù: siamo quasi costretti a patire lo scandalo e la follia della croce (cf. 1Cor 1,23), siamo posti di fronte all’esito fallimentare della vita Gesù. Colui che è passato in mezzo alla sua gente facendo il bene (cf. At 10,38), curando i malati e talvolta guarendoli, e costringendo il demonio ad arretrare; colui che, quale “profeta potente in opere e in parole” (Lc 24,19), ha attirato a sé le folle fino a entrare nella città santa tra acclamazioni trionfali; colui che è riuscito a radunare intorno a sé una comunità itinerante di uomini e donne; quest’uomo, Gesù di Nazaret, conosce una fine impensabile, la sua vita approda a una morte fallimentare. Ogni lettore attento del vangelo, ogni discepolo non può che essere profondamente turbato da tale esito…
 Dov’è finita – viene da chiedersi – la forza di Gesù, la potenza con cui egli liberava dalla malattia e dalla morte quanti ne erano segnati? “Ha salvato altri, non può salvare se stesso!” (Mc 15,31) – lo scherniscono i suoi avversari… Dov’è finito quel carisma profetico con cui egli annunciava ormai vicinissimo, anzi presente, il Regno di Dio (cf. Mc 1,15)? Perché nella passione Gesù è ridotto al silenzio e si lascia umiliare senza aprire la bocca (cf. Is 53,7)? Dov’è quell’autorevolezza riconosciutagli tante volte da chi lo chiamava maestro, lo acclamava profeta, lo invocava come Messia e Salvatore? Tutti coloro che sembravano suoi seguaci e simpatizzanti sono scomparsi, e Gesù è solo, abbandonato da tutti.

 Ma l’enigma è ancora più radicale: dov’è Dio durante la passione di Gesù? Quel Dio che sembrava essergli così vicino e che egli chiamava confidenzialmente “Abba”, cioè “papà caro”; quel Dio che lo aveva definito “Figlio amato” al battesimo (cf. Mc 1,11) e alla trasfigurazione (Mc 9,7); quel Dio per il quale Gesù aveva messo in gioco e consumato tutta la propria vita, dov’è ora? Non lo si dimentichi: la morte di croce è la morte del maledetto da Dio (cf. Dt 21,23; Gal 3,13), giudicato tale dalla legittima autorità religiosa di Israele, e, nel contempo, è il supplizio estremo inflitto a chi è ritenuto nocivo alla polis. Davvero Gesù è morto come un impostore, appeso tra cielo e terra perché rifiutato da Dio e dagli uomini…
 È assai difficile rispondere a queste domande. Si può cominciare col notare che Gesù ha percorso questo cammino – giustamente definito via crucis, via della croce – pregando il Padre affinché lo sostenesse in quell’ora tenebrosa, “supplicando Dio con forti grida e lacrime” (cf. Eb 5,7); in tutto questo, però, ha sempre lottato per abbandonarsi in Dio e cercare di compiere la sua volontà, non la propria (cf. Mc 14,36). Sì, Gesù ha avuto fede, ha creduto che Dio non lo avrebbe abbandonato, che sarebbe rimasto con lui, dalla sua parte, nonostante le apparenze di segno opposto e il reale fallimento umano della sua vita e della sua missione.

 Ma per comprendere appieno la passione di Gesù, così da poterlo seguire in essa senza scandalizzarsi, è fondamentale approfondire il senso del gesto eucaristico dell’ultima cena (cf. Mc 14,17-25). Gesù ha compiuto tale atto per evitare che i discepoli leggessero la sua morte come un evento subìto per caso, oppure dovuto a un destino ineluttabile voluto da Dio. Nulla di tutto questo. Gesù ha infatti vissuto la propria fine nella libertà: avrebbe potuto fuggire prima che gli eventi precipitassero, avrebbe potuto cessare di compiere azioni e pronunciare parole al termine delle quali lo attendeva una condanna a morte. Ma non lo ha fatto; anzi, è rimasto fedele alla missione ricevuta da Dio, ha continuato a realizzare in tutto e puntualmente la volontà del Padre, anche a costo di andare incontro a una fine ignominiosa. E questo perché sapeva bene che solo così poteva amare Dio e i suoi fino alla fine (cf. Gv 13,1)… Ecco, Gesù ha concluso la sua esistenza così come l’aveva sempre spesa: nella libertà e per amore di Dio e degli uomini! Affinché ciò fosse chiaro, Gesù ha anticipato profeticamente ai discepoli la sua passione e morte, spiegandola loro con un gesto capace di narrare l’essenziale di tutta la sua vicenda: pane spezzato, come la sua vita lo sarebbe stata di lì a poco; vino versato nel calice, come il suo sangue sarebbe stato sparso in una morte violenta.
 Se, all’inizio del vangelo, Marco aveva scritto che i discepoli “abbandonato tutto, seguirono Gesù” (cf. Mc 1,18.20), nell’ora della passione si vede costretto ad annotare che essi, “abbandonato Gesù, fuggirono tutti” (Mc 14,50). Lo scandalo della croce permane in tutta la sua durezza e non va attutito, ma il segno eucaristico, memoriale della vita, passione e morte di Gesù, sarà capace di radunare di nuovo i discepoli intorno al Cristo Risorto. La comunità dei discepoli di Gesù potrà così attraversare la storia e giungere fino a noi, senza temere di affrontare anche le ore buie e le crisi: il suo Signore l’ha infatti preceduta anche in esse, vivendole nella libertà e per amore.
* * *

5. Don Divo Barsotti

Ritiro, 19 marzo 1978 - Modena
Letture: Is 50, 4-7; Fil 2, 6-11; Mt 26,14;27,1-66
Meditazione
Abbiamo letto quello che scrive l'Evangelista Matteo sul mistero che celebriamo in questa Domenica delle Palme. Dobbiamo integrare con quello che dicono gli altri Evangelisti, soprattutto Luca e Giovanni.
San Luca dice che Gesù, scendendo da Betfage, vide la città e pianse, e disse: "Oh, se tu avessi conosciuto il tempo della tua visita! Ma ora tutte queste cose sono nascoste ai tuoi occhi; verrà il giorno in cui...". E annunzia, così, la distruzione della città, come era già avvenuto nel tempo di Geremia.
Nel Vangelo di San Giovanni, invece, si dice che Gesù è entrato in Gerusalemme. Siamo nei giorni di Pasqua e Gerusalemme è piena di stranieri che sono venuti a celebrare la Pasqua, nella città santa, è piena di Ellenisti, di Giudei cioè della diaspora che vivono nell'ambiente greco, si accostano a Gesù e gli dicono di voler vedere. E Gesù, allora, dice che se il grano in terra non muore, non porta frutto; solo se muore porta frutto. E, finalmente, Egli si curva nel suo spirito: "Ora la mia anima è turbata; ma per questo giorno sono venuto". E una voce dal cielo: "L'ho glorificato e ancora lo glorificherò".
Sono tutte circostanze e piccoli episodi che servono a farci capire l'importanza di questo giorno nella vita del Signore. Ma non solo nella vita del Signore: per noi cristiani il ricordo di questa giornata è estremamente importante.
Riprendiamo dunque gli avvenimenti: Gesù ha compiuto il miracolo della resurrezione di Lazzaro a Betania; poi, lasciata Betania, si è allontanato verso il deserto, ha portato anche i discepoli nel deserto, quasi per una preparazione immediata alla passione. In disparte, dice il Vangelo, verso il Giordano e là, solo con i discepoli, prepara la sua anima alla morte, alla passione imminente. Poi entra in Gerico, ove la folla già lo acclama; già l'entusiasmo lo circonda ed Egli, all'uscire dalla città, guarisce, secondo Marco, due ciechi. Gerico è a 400 metri sotto il livello del mare e Gerusalemme è quasi a 800 metri sul mare. Quindi vi è un dislivello di circa 1200 metri. È tutta una salita, anche piuttosto ripida in alcuni punti. Oltre che essere salita, è desertica. D'altra parte, la strada che percorse Gesù da Gerico a Gerusalemme era ancor più ripida di quello che è oggi: bisogna percorrere 17-18 chilometri, mentre prima ci si arrampicava direttamente sulla scogliera dei monti del deserto di Giuda e si arrivava a Gerusalemme dopo pochi chilometri, circa la metà di quelli della strada di oggi.
Gesù sale e va nella casa che sempre lo ha ospitato, presso Marta, Maria e Lazzaro. Molti vanno con lui. Da Gerusalemme a Betania sono, 4 chilometri e tanti vi giungono per vedere Gesù, ed anche Lazzaro. Nel banchetto fatto nella casa ospitale, Maria spezza un vaso di alabastro e sparge un unguento prezioso anche sulla testa di Gesù. Giuda s'indigna per questo spreco e Gesù ricorda ancora la sua passione; è come la sua imbalsamazione.
Ma, è soltanto questo il senso dell'unzione di Betania?
No; e nemmeno è il più grande. È importante perché ci fa conoscere il valore della morte di Gesù. Non è una qualunque morte quella di Gesù! Nella sua morte Egli realizza la sua missione. Nell'Antico Testamento si urgevano i Re. L'unzione di Maria di Betania è l'unzione fatta come rappresentante della Nazione; essa riconosce pubblicamente la messianicità di Gesù e lo consacra proprio in compimento di questa missione messianica.
Egli viene unto.
Ma come Egli sarà il Messia, come realizzerà il Regno di Davide, la salvezza d'Israele, e tutto quello che è proprio dell'era messianica? Attraverso il suo sacrificio, attraverso la morte. Ed ecco che così l'unzione del Cristo, nella vigilia dell'ingresso solenne a Gerusalemme, è non soltanto unzione regale, ma anche unzione sacerdotale e vittimale. Gesù, quando viene unto, viene consacrato all'adempimento di quello che Dio aveva promesso: il Re, Figlio di Davide, Re universale e definitivo. E questa regalità, giustamente, Egli la vivrà. "Regnavit a ligno Deus". Le parole del "Vexilla" sono il miglior commento di quella unzione. Il suo trono è la croce. Dopo la consacrazione, Egli è entrato immediatamente in possesso del suo titolo regale.
È come un'investitura.
Che cosa fa allora? Entra nella città del Re; Gerusalemme è la città di Davide. Entra a Gerusalemme per regnare. È il Re che va a prendere possesso del suo Regno.
Ricordate quello che disse Gesù?
Anche qui non c'è più separazione fra la funzione regale e la funzione sacerdotale. Egli ha detto - è di San Luca - "Io starò qui in questo giorno e domani; il terzo giorno andrò a Gerusalemme perché non conviene che un profeta muoia fuori di Gerusalemme". Gerusalemme non è soltanto la città di Davide; è anche la città del Tempio, quindi del sacrificio.
Giovanni Battista aveva già proclamato Gesù come agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, agnello pasquale che salva l'umanità col suo Sangue. Egli sarà ucciso nel giorno di Pasqua invece dell'agnello perché tutti gli agnelli non erano stati sufficienti a salvare Israele. Basterà la morte di Gesù, una volta per tutte, a salvare l'umanità.
San Giovanni, quando si parla della morte di Gesù dice: "Per non essere contaminati". Dev'essere celebrata la Pasqua giudaica col mangiare l'agnello che ricorda la liberazione dalla schiavitù dell'Egitto. E non entrano, i Giudei, nel Pretorio, casa di un pagano, ma uccidono Gesù. E sarà un pagano che dirà, allo squarciarsi del velo del Tempio per la Morte di Gesù: "Costui è veramente il Figlio di Dio". Allora la consacrazione di Gesù come Re messianico, come Figlio di Davide, è un'investitura per andare a Gerusalemme. Il Figlio di Davide dev'essere anche servo di Jahvè, come aveva annunciato il profeta Isaia. Gli agnelli venivano portati a Gerusalemme nel Tempio per essere sacrificati; Gesù per essere ucciso. La consacrazione è per essere sacerdote e vittima. Notate una cosa molto importante: non sembra che il ministero dei profeti, all'inizio, implichi il sacrificio, ma questo appare chiarissimo nel sacrificio perfetto di Gesù. Il Re deve dare la vita per la salvezza di tutti.
È difficile per noi cristiani. Anche Gesù ha pregato: "Se è possibile, passi da me questo calice".
Tutti noi, ancora, siamo pagani, nonostante che siamo stati battezzati. Ma il piano divino, anche per la nostra resistenza, non cambia. Non è cambiato nei riguardi di Gesù, non è cambiato nei riguardi della Chiesa. Quando, stamane, aprendo il giornale, ho visto la fotografia di Aldo Moro, ho detto: "Com'è grandioso com'è meraviglioso tutto questo. La Chiesa continua la passione del Cristo e la regalità del Cristo". Siamo tutti trionfalisti. Vorremmo tutti che la Chiesa superasse la passione fino alla fine del mondo.
La Chiesa vivrà la passione e, nella passione, l'esercizio della regalità di Cristo. Non c'è possibilità, per noi, di vivere la regalità del Cristo che unendo insieme l'esercizio della nostra regalità all'esercizio del nostro sacrificio. Per Moro non si può dubitare del suo cristianesimo. La sua fotografia è veramente quella della passione dal Cristo. È il martire, oggi, che fa presente la salvezza del mondo nel suo martirio.
Non dobbiamo farci illusioni, ma mantenerci sereni. Quando il nemico crederà di aver vinto, proprio allora cadrà! Ricordiamo che questa catastrofe, la Madonna già alla Salette l'aveva annunciata: essa sarà un rinnovamento, una conversione.
Sopravviveremo noi? Forse no.
Gesù ha pianto su Gerusalemme; l'anima sua è stata turbata: però Gesù è venuto per questa ora.
Rendiamoci conto che il male esiste e può essere distrutto soltanto nella misura che i cristiani, gli innocenti, lo assumono. La Chiesa è l'agnello sul quale si deve scaricare l'odio del mondo perché il mondo sia purificato del suo peccato, perché i nostri fratelli siano salvi.
Per noi è molto difficile accettare il piano divino: la nostra natura sente ripugnanza, come l'ha sentita anche Gesù.
Passione di Cristo e della Chiesa!
Andiamo verso Gerusalemme.
Ricordiamo le parole di Gesù nel Vangelo di San Giovanni: "Per questa ora sono venuto". Dobbiamo superare il turbamento con un atto di fede e di abbandono in Dio, umile e sereno; non lasciamoci prendere dallo sgomento e viviamo nelle mani del Signore senza lasciarci travolgere dalla paura. Dio è con noi! Dio rimane con noi, non dubitiamo e Dio ci farà vincere, ci risparmierà.
Già da qualche tempo io rispondevo ad un pittore romano che mi scriveva per chiedere preghiere. Era in dipendenza di un certo movimento mariano diretto da un sacerdote il quale ha continui messaggi dalla Madonna. Si sono costituiti dei gruppi i quali fanno la veglia ogni mese, veglia di preghiera per ottenere, se il Signore lo vuole, di allontanare l'attuale catastrofe che sembra inarrestabile. Ormai ci siamo messi nelle loro mani riguardo alla Chiesa, allo Stato. A Roma fanno la veglia notturna dalle 9 di sera alle 4 del mattino, una volta al mese, senza uscire di Chiesa, dal primo giovedì al primo venerdì del mese. È una nottata di preghiera.
Noi ci prepariamo a celebrare la Domenica delle Palme. Oggi è come fu allora con Gesù. Nessuna parola dobbiamo accettare per i tristi avvenimenti di questa ora, ora delle tenebre.
Anche Gesù fu acclamato da tutta una folla, con un atto che era imminente alla sua passione e morte. Egli era certamente consapevole di essere alla vigilia del suo sacrificio, della sua crocifissione.
Noi viviamo la passione del Cristo senza avvilimento, ma con un certo timore che, però, dobbiamo superare. Non dobbiamo dimenticare che è proprio questa passione che salva. L'unica cosa che si chiede è di non venire a compromessi, a complicità col male, in nessun piano: non dobbiamo mai mancare di rendere testimonianza. Gesù ha saputo andare incontro alla sua morte sereno; non ha certo piegato a nessun compromesso. Se arrivassimo ad accettarne, sarebbe la fine della Chiesa, la fine della pietà cristiana. Se si cercasse di mantenere un accordo, potrebbe essere a caro prezzo! La nostra resistenza non deve venir meno mai, la nostra perplessità non deve finire col cedere, col farci venir meno alla nostra fedeltà alla Chiesa e a Cristo. Potremmo anche doverla pagare col sangue, ma finirebbe sempre con la vittoria, vittoria cristiana che non ci dispensa dalla morte. Tutta l'offesa, tutto il male non dovranno mai piegare la nostra volontà. Anche nel morire dovremo sempre rimanere fedeli nel testimoniare la carità di Dio, la verità di Dio, la nostra fede nel Cristo.
Siamo nel tempo di passione, passione del Cristo, passione della Chiesa, passione del popolo italiano.
Gesù, notatelo bene, non si lascia impressionare dalle acclamazioni dei fanciulli; persino a Nazareth la turba non osa contrastare; anche i genitori del cieco nato non parlano, per timore e per paura. Ma Gesù non si lascia prendere dall'entusiasmo e piange. Non piange sopra di Sé, ma piange sulla città che è prossima ad essere distrutta. Gesù, nella sua morte, vivrà anche l'atto supremo del suo amore, nei confronti di Dio e nei confronti del popolo. Gesù salverà, nella sua morte, tutta l'umanità. Gesù non può impedire che Gerusalemme venga distrutta, che il castigo per il deicidio pesi, poi, sulla città intera, sul suo popolo il quale, in quel momento, perderà per sempre la sua indipendenza e dovrà vagare in tutte le nazioni senza più costituirsi come Nazione. La ricostruzione dello Stato d'Israele! Il ritorno nella sua terra! Ora, Gerusalemme è in mano agli Ebrei. Sarà la fine? È una rovina non solo sul piano politico, ma anche religioso, il fatto che lo Stato d'Israele non sia l'Israele religioso, non sia il Regno di Davide. La città stessa di Gerusalemme, in mano agli Arabi fino al 1967, ora è in mano agli Ebrei. Ma oggi Roma non sostituisce Gerusalemme: è soltanto quello che, nella Storia Sacra, già fu Babilonia. Gerusalemme rimane Gerusalemme.
Il sangue degli Apostoli non può consacrare e santificare Roma come il Sangue di Cristo consacrò e santificò la città di Davide. Là Egli è morto, là Egli è risorto; di là è partita la missione della Chiesa; là conviene che la Chiesa ritorni.
È un fatto importantissimo.
Manteniamo la nostra anima nella serenità; Dio è Dio; non ci lascerà mai sgomentare; Egli è il più forte. Certo, potrà chiederci anche la morte, ma nessuno ci porterà al rinnegamento della nostra fede, e questo nella semplicità, nella fedeltà, nell'umiltà e nell'amore. Così vincerà la Chiesa. Il mondo non potrà nulla contro Gesù; Egli è risorto. La Chiesa potrà essere colpita, ma poi risorgerà. Distruggeranno anche noi, ma noi già viviamo in due mondi; solo chi non vive in grazia vive soltanto nella vita terrestre. Ma noi, nella vita di grazia, viviamo già la vita di Dio, la vita eterna. Cade il sipario, cade ogni ombra; la morte è il possesso di Dio, nella vita immutabile, pura, semplice e assoluta di Dio.
Dobbiamo saperlo; non dobbiamo lasciarci spaventare.
Naturalmente la nostra natura prova questo timore, ma noi dobbiamo superarlo. Anche noi siamo in cammino verso Gerusalemme; la nostra Consacrazione vi ci porta. Noi scendiamo a Gerusalemme; si scende per poi risalire.
Guardiamo intorno a noi; non sappiamo quello che ci toccherà personalmente. Qualche cosa avverrà che dovrà farci piangere come pianse Gesù sulla santa città. La Vergine ha detto: "Ormai non sperate più; è troppo tardi; preparatevi soltanto. Chiedete per voi la grazie di una assistenza e di una difesa: ciascuno per sé".
Allora, entriamo in Gerusalemme per vivere lo stesso mistero del Cristo, la sua stessa passione. Gesù risorse, ma la città fu distrutta. È soltanto in questi ultimi anni che Gerusalemme è ritornata ad essere viva, in preparazione, forse, dell'avvenimento finale. Nel libro dell'anticristo di un grande russo cristiano, si dice che a Gerusalemme si raccoglieranno, braccati dall'anticristo, il Papa di Roma, lo Starez ortodosso e un Professor Paoli che rappresenta il protestantesimo; e là si riunirà la Chiesa, finalmente, nell'imminenza dell'estrema rovina. Ma poi saranno uccisi gli anticristo e il Vicario darà luogo alla presenza del Cristo. È una visione. Anche l'Islam attende il giudice Gesù. Anche per l'Islam, la fine del mondo si manifesterà con l'apparizione del Cristo sul minareto della Moschea, proprio là dove il Cristo ascese al cielo. Sarà la fine? Non lo sappiamo, né vogliamo fare i profeti. Accenniamo a questa visione perché è una delle pagine più alte della vita cristiana.
Passione del Cristo, passione: della Chiesa.
Noi, ora, siamo sulla sommità e discendiamo. C'è attorno a noi una resipiscenza; vogliamo tutti non osannare, ma essere compresi dall'avvenimento e tutti vogliamo inveire contro i rapitori che sono in Italia e in tutta l'Europa. Si va verso la catastrofe. Ebbene, come Gesù, guardiamo questo mondo, contempliamolo. La Chiesa sopravvivrà, come il Cristo che è risorto, ma Gerusalemme sarà distrutta.
Che cosa avverrà della nostra vita? della nostra civiltà? dei nostri valori morali e di cultura? Piangiamo su questo mondo che già porta il segno del castigo.
Che cosa rimarrà della nostra patria? del nostro popolo? Dio è più grande di tutto.
Un'altra cosa sulla quale dobbiamo insistere è il fatto che la regalità, nel Cristianesimo, si unisce sempre più al sacerdozio. Il sacerdozio, d'altra parte, è già sacrificio. "Regnavit a ligno Deus". Proprio nella misura che noi cristiani siamo chiamati a vivere la passione del Cristo, noi esercitiamo un potere di salvezza sul mondo. Il sacrificio è nella nostra regalità.
Omelia
La regalità è inseparabile dal sacerdozio e l'esercizio della regalità si manifesta, si attua nel sacrificio. Tutto questo non è vero soltanto per Gesù, ma è vero per tutti noi. Dobbiamo accattare con umiltà e con fede quello che il Signore ha voluto: il mistero della Croce.
È certo, per noi uomini, il mistero più grande. Dio ha rovesciato totalmente le cose. Quello che era morte, quello che era castigo, è divenuto il supremo potere di un Dio che salva, è divenuto la manifestazione più alta della vita, nell'amore di un Dio che totalmente si dona e si comunica agli uomini, ed è, precisamente, lo stesso mistero che noi viviamo. Non c'è dubbio; non dobbiamo minimamente abdicare alla nostra grandezza, alla nostra dignità, alla nostra responsabilità. La nostra dignità e la nostra grandezza ci dicono che da noi dipende la salvezza del mondo. Non perché siamo noi, ma perché siamo una sola cosa col Cristo vivente. Difatti il Cristo non si fa presente nel mondo che attraverso la nostra umanità. La presenza di Cristo, infatti, nell'Eucarestia, non è la presenza di Cristo nel mondo: il Cristo si fa presente nell'Eucarestia per farsi presente, poi, in noi che viviamo nel mondo, che viviamo in questo momento.
E, se la croce del Cristo è piantata nel mondo fino alla fine, vuol dire che, attraverso il suo Mistico Corpo , sempre si fa presente l'esercizio di una regalità del Cristo che salva, nella passione della Chiesa che durerà fino alla fine. Non c'è, per noi, la possibilità di partecipare ad una resurrezione del Cristo che non implichi, anche per noi, il superamento della condizione terrestre. La resurrezione non rivela in Gesù una reminiscenza sul piano umano, in una condizione terrestre. Egli è risorto; non rivive. Il rivivere è del figlio della vedova di Naim: lì non è una risurrezione: morirà di nuovo, ritornerà ai condizionamenti di vita terreste, cioè alle malattie, alle leggi fisiche e morali. La resurrezione è uno stato e una condizione diversa da quella passibile. Il Cristo risorto trascende la condizione mortale dell'esistenza; possiede la stessa vita di Dio anche nella sua natura umana. La partecipazione alla resurrezione del Cristo suppone per noi il superamento della condizione presente. Suppone per noi, dunque , una situazione nuova che non è propria dell'uomo quaggiù. In forza della sua resurrezione gloriosa, Gesù fa partecipi noi del suo stesso mistero e, così, dura fino alla fine il mistero della Croce. Il mondo passa, ma la Croce rimane piantata nell'universo fino alla fine: difatti fino alla fine rimane il dolore, rimangono le tribolazioni, le pene. In noi cristiani, tutto questo è la partecipazione alla passione di Gesù; tanto più la Chiesa la vive in quanto la Chiesa vive l'opposizione del mondo, dei cattivi; in quanto la Chiesa vive lo scaricarsi sopra di lei di tutta la malvagità umana.
Per me è simbolica la fotografia di Aldo Moro, come ce l'hanno data i cronisti. È la passione del Cristo che continua. La stessa dignità, lo stesso silenzio, la stessa umiltà di Gesù sopra la Croce, la stessa serenità dolorosa. È la passione del Cristo che continua nelle sue membra e si fa presente nel volto di lui che è il volto di un nostro fratello. Si può dire che tutta la cristianità italiana, in lui si riassume e si concentra in questo momento. E noi sentiamo proprio la sua grandezza in questa sua passione: è la presenza stessa del mistero della Croce. Ricordiamo che la partecipazione ai riti liturgici implica per noi una partecipazione reale al mistero. Non possiamo distrarcene. È la identificazione del Cristo al suo servo; è la grandezza e l'efficacia di un sacrificio. Ora, Moro è solo; nessuno può alleviare la sua pena, tranne Dio. Quale l'efficacia di questo martirio?
Vorrei chiedere a Dio, stamane, che questo sacrificio possa salvare l'Italia, il popolo suo.
Non so se questo avverrà, ma anche se tutta l'Europa dovesse precipitare in una catastrofe immane, possa il suo martirio, essere motivo di suprema speranza!
Dio ha permesso questa sua passione: da questo possiamo rilevare l'efficacia di una nuova salvezza. Potremmo anche precipitare tutti nella morte: risorgeremo! La prova non sarà mai tale da distruggere. È questo che dicevano i Padri della Chiesa quando parlavano di Gesù: nella sua morte il demonio è vinto. È vinta l'avversione, è vinto il male, è vinto l'odio, è vinta la forza della distruzione. Nella stessa misura che noi potremo sopportare il peso dell'odio, questo odio si dimostrerà impotente. Anche l'Italia risorgerà; la cosa più bella e meravigliosa è questa: il più cristiano, il più italiano fra di noi, ci fa assistere alla passione del Cristo, della Chiesa, dell'Italia. Credo proprio di poter dire, in nome di Dio, che questo sacrificio sarà degno di salvezza. Dobbiamo pregare perché Moro sia segno verace, testimone fedele, come è Gesù. Avrà anche lui momenti di smarrimento e di sgomento supremo. Gesù ha avuto timore e spavento di fronte alla morte; ha sudato sangue nel Getsemani! Questa forza solo Dio può darla e in essa consiste la vittoria cristiana che non è nell'essere liberati dal male, ma nel vincere il male con l'amore, nella fedeltà a Dio. Dio non ha risparmiato il suo Figlio.
Dio solo darà a Moro la forza di testimoniare l'amore. Il suo martirio riguarda noi tutti; dal suo martirio dipende la vita di tutti noi, la vita dell'Italia, la vita, oggi, della Chiesa. Proviamo tanta pena anche noi, ma abbiamo la sicurezza che nulla va perduto di quanto avviene quaggiù sulla terra e, tanto più, di quanto sarà il valore di sangue sparso. C'è qualche cosa di diabolico; ma anche di estremamente grande, come mistero, con un carattere sacrificale. Siamo come in una storia sacra che continua a far presente la storia stessa di Gesù, coi medesimi fini, con la stessa efficacia.
Noi vorremmo essere risparmiati dal rendere una tale testimonianza, perché siamo deboli e fragili nei confronti di Moro.
Tuttavia, fino a che punto lo saremo? Prepariamoci perché la vittoria e la resurrezione della Chiesa e dell'Italia avverrà, ma tutti dobbiamo pagare perché questo avvenga. Ha efficacia soltanto il sacrificio. Questo ci dice il Vangelo; questo ci dice tutto il Cristianesimo. Tutti dobbiamo, dunque, pagare. Che il Signore ci doni la forza, la grazia di saper essere testimoni fedeli e veraci e che, considerando la nostra debolezza, non ci chieda poi troppo. Noi temiamo di noi stessi e non vorremmo mai aggiungere male al male col nostro risentimento, col nostro rancore. L'amore di Cristo deve vivere in noi.
Ecco quello che dobbiamo vivere in questo tempo di passione di Cristo e della Chiesa.
Siamo appena all'inizio; quanto durerà? È difficile dirlo, ma una cosa sappiamo: che tanto più sarà breve, quanto più pura sarà la nostra adesione a Cristo, quanto più vera sarà la nostra forza d'amore che vincerà l'odio, il male. Non si reagisce all'odio con l'odio; nulla in noi vi sia di vendicativo; questo sarebbe più grave del male. Che l'amore in noi vinca ogni rancore e ci tenga fermi nel testimoniare la verità, fermi nel nostro amore al Signore, senza compromessi, senza complicità. Proprio perché siamo di Dio, siamo disponibili ad essere caricati del peccato degli uomini. Noi vogliamo essere salvi con tutti, con la nostra Italia che ha perduto la fede, che non conosce più la morale e non vuol più saperne di Dio.
Non possiamo non amarla; scenda su tutti il sangue versato e sia per la redenzione.
Adorazione in Cappella
Non vi è un argomento per questa Ora di Adorazione. Si tratta soltanto di realizzare, nell'ora grave, la testimonianza della presenza di Dio. Dobbiamo vivere, nell'esperienza della nostra miseria di povere creature, nell'umiltà, il mistero della passione del Cristo. È un Dio immenso, infinito eterno, onnipotente, che vive nell'angoscia. Se noi riusciamo davvero a credere, se Dio ci dona la grazia di poter credere in questo immenso mistero, noi possiamo vivere l'esperienza di povere creature sbattute, molto spesso perseguitate, disprezzate, abbandonate da tutti come Gesù nel Getsemani. Anche noi dobbiamo vivere unendo insieme questi estremi: non siamo cristiani soltanto per vivere nell'esperienza di abbandono e di dolore; Dio è con noi e noi dobbiamo sentire di essere la radice di tutto l'universo, partecipi della salvezza del mondo. Chi avrebbe mai potuto pensare, senza una grazia divina, che quell'uomo che pendeva dal patibolo - maledetto colui che pende dal legno! - sarebbe stato il salvatore del mondo? Noi continuiamo la sua passione nell'esperienza della nostra povertà e della nostra impotenza.
Che cosa siamo noi? Che cosa riusciremmo a fare senza il Cristo? Noi ci sentiamo, come dice San Paolo nella Lettera ai Corinzi, come la spazzatura del mondo. Eppure, con il Cristo, dobbiamo sentirci la radice che dona la vita all'universo, dobbiamo sentirci il cuore, centro di tutto, una sola cosa col Cristo.
Ecco il mistero che noi celebriamo e adoriamo: la presenza del Cristo sotto le apparenze del pane. Come nella vita divina, il Figlio è totale relazione d'amore al Padre, così, nella natura umana, assunta anche ora che Egli vive nella gloria del Padre, è presente a noi sotto il segno del pane. La sua presenza reale, sotto il segno del pane, è in ordine alla Comunione.
Che cosa dunque noi siamo? Nulla e tutto. Ecco il mistero cristiano. Il mondo non ci conosce, il mondo, veramente, può avere per noi lo stesso atteggiamento che ebbe per il Cristo. Tuttavia noi dobbiamo sentire di essere il centro, il cuore dell'universo. Gesù è più che il cuore; Egli è il Tutto. E noi siamo una sola cosa con Lui. Noi l'adoriamo. Noi facciamo nostra la sua stessa adorazione al Padre. Egli si annienta davanti alla gloria del Padre. E noi con Lui. Lui, salvatore, è inseparabile da noi. Egli continua a salvarci; continua la sua passione come continua la sua missione. Non nelle grandi adunate, ma solo con i Dodici, Cristo ha vissuto di più la sua umiltà e la sua ubbidienza al Padre: lo rivela la preghiera sacerdotale prima della sua passione. La grandiosità della folla non aggiunge nulla al sacrificio. È la nostra unione a Lui che ha valore. Egli vive con noi. Noi viviamo con Lui la stessa adorazione e la stessa missione. In questa fede è la nostra vittoria. Chi è unito al Cristo vale più di tutte le grandezze umane. Il mistero è incomprensibile al giudizio umano.
Adoriamo il mistero di tanta grandezza.
Seconda parte dell'Adorazione
Quello che abbiamo detto ci richiama alla dottrina fondamentale del Cristianesimo. La giustificazione per esprimere questa verità è nelle stesse parole di San Paolo: "Dio vive nel cuore degli uomini, non nella misura con cui Egli si dona, ma nella misura della fede dell'uomo stesso". Dunque, secondo la nostra fede Iddio vive in noi.
La nostra fede, meravigliosa, fa unire gli estremi: la nostra debolezza all'onnipotenza divina che vive in noi. È questa la dottrina fondamentale del Cristianesimo.
Oh, intendiamoci! So benissimo quello che dice San Giacomo: "La fede senza le opere è morta". Ma tu hai la potenza di Dio per la tua fede ed è la fede che misura la santità dell'anima. La santità dell'anima non è mai una proprietà dell'anima stessa; è la santità di Dio che vive in ciascuno di noi. E Dio vive in noi soltanto nella misura con cui sappiamo accoglierlo. Le opere prive della fede sono virtù che appartengono alla natura morale, all'onestà umana. Le virtù cristiane non sono soltanto l'adempimento di un dovere di ordine morale, ma sono il segno di Dio che vive nel cuore dell'uomo. Per questo tu devi aprirti alla ricca fiumana di amore divino. La condizione per la quale tu entri in possesso di Dio, la dice il Vangelo: Gesù a Nazareth non poté fare miracoli perché mandava la fede.
Dal momento che Dio ci ama, dal momento che Egli ci ha dato tutto nella prova immensa del suo amore, Egli si meraviglia di trovare in noi così poca fede. È la fede quella che meraviglia! Tu devi credere!
Pensare che un Dio, che è infinito, ti ama straordinariamente, non è motivo di meraviglia? Ed è qui il fondamento della fede. Eppure, oggi, questo sembra un linguaggio sorpassato, mentre è proprio con Dio ogni bene, la bellezza, la bontà, la giustificazione, la santità, la potenza, la vita. Tutto questo è la condizione della nostra fede. Prima di tutto vi chiedo la fede. Guardate, non vi chiedo l'amore, non perché lo escluda, intendiamoci, ma perché non ve lo posso imporre.
L'amore è come tutte le altre virtù: deriva dal fatto che, nella fede, avete ricevuto Dio.
L'amore non è altro che Dio che viene in noi.
Credere sempre più, credere sempre meglio, avere una fede sempre più pura: questa è virtù teologale.
Le virtù morali possono avere un eccesso che può renderle difettose. Così l'ubbidienza non può essere abulia, la castità non può essere frigidità; si cadrebbe nel difetto, nel peccato. Ed è sempre una mancanza, sia per eccesso, sia per difetto. Le virtù teologali, siccome hanno per oggetto Dio che è infinito, possono crescere continuamente, giorno per giorno; però mai raggiungeranno la pienezza della realtà di un Dio che ci ama.
Possiamo credere che Dio ci ami, ma la nostra fede è così povera cosa e noi lo mettiamo al piano stesso della salute, al desiderio di star bene, di non avere fastidi. Dio, che è infinito, lo confiniamo al mal di denti, ai fastidi della vecchiaia o simili. M siamo cristiani così? A che serve la fede?
Oggetto della fede è Dio, Dio che ci ama. Non crederemo mai abbastanza al suo amore, come Dio ci chiede stasera, essendo Egli qui presente sotto il segno del pane, per comunicarsi a noi, per essere ricevuto da noi.
Apriamoci ad accogliere l'immensità del suo amore. Viva egli in noi così come Egli è in Se stesso, nella sua immensità. Anche se poveri peccatori, in Lui diveniamo onnipotenza per la presenza sua.
Ecco perché possiamo capire la parola di Paolo: "Tutto io posso in Colui che mi dà la forza".
Vivendo in noi il Cristo, noi partecipiamo alla sua santità, alla sua vita.
Stasera il Signore ci dice che tanto sarà il suo dono, quanta sarà la nostra fede.
Il Signore vi apra l'anima nella misura del suo amore!


* * *
COMMENTI PATRISTICI
Dai "Trattati su Giovanni"
di sant'Agostino, vescovo

OMELIA 51


L'annunzio della morte e della vittoria.


Cristo era il grano di frumento che doveva morire per dare molto frutto. Morto a causa dell'infedeltà dei giudei, è fruttificato mediante la fede dei popoli.

1. In seguito alla risurrezione del morto di quattro giorni che il Signore compì fra lo stupore dei Giudei, alcuni di essi vedendo credettero in lui, altri per invidia si perdettero; sempre per quel buon odore che conduce alcuni alla vita e altri alla morte (cf. 2 Cor 2, 15). Dopo aver partecipato alla cena, in cui Lazzaro risuscitato da morte era commensale, e durante la quale fu versato sui suoi piedi l'unguento del cui profumo si era riempita la casa; dopo che i Giudei avevano concepito nel loro cuore perverso la vana crudeltà e lo stolto e delittuoso proposito di uccidere Lazzaro; dopo che di tutte queste cose, come abbiamo potuto e con l'aiuto del Signore, abbiamo parlato nei precedenti sermoni, invito ora la vostra Carità a considerare i frutti copiosi prodotti dalla predicazione del Signore prima della sua passione, e quanto numeroso sia stato il gregge delle pecore perdute della casa d'Israele, che ascoltò la voce del pastore.
2. Ecco le parole del Vangelo di cui avete appena ascoltato la lettura: L'indomani, la gran folla venuta per la festa, sentendo che Gesù si recava a Gerusalemme, prese i rami delle palme e gli andò incontro gridando: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele (Gv 12, 12-13). Le palme sono un omaggio e un simbolo di vittoria; perché, morendo, il Signore avrebbe vinto la morte, e, mediante il trofeo della croce, avrebbe riportato vittoria sul diavolo principe della morte. Il grido "Osanna" poi, secondo alcuni che conoscono l'ebraico, più che altro esprime affetto; un po' come le interiezioni in latino: diciamo "ahi!" per esprimere dolore, "ah!" per esprimere gioia, "oh, che gran cosa!" per esprimere meraviglia. Al più "oh!" esprime un sentimento di ammirazione affettuosa. Così è per la parola ebraica "Osanna", che tale è rimasta in greco e in latino, essendo intraducibile; come quest'altra: Chi dirà "racha" a suo fratello (Mt 5, 22). La quale, come riferiscono, è una interiezione intraducibile che esprime un sentimento di indignazione.
[L'umiltà non è scapito della sua divinità.]
3. Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele. "Nel nome del Signore" sembra doversi intendere nel nome di Dio Padre, quantunque si possa intendere altresì nel nome di Cristo, dato che anch'egli è il Signore. Per questo altrove sta scritto: Il Signore fece piovere da parte del Signore (Gn 19, 24). Ma è il Signore stesso che ci aiuta a capire queste parole, quando dice: Io sono venuto nel nome del Padre mio, e non mi avete accolto; se un altro viene in nome proprio, lo accogliereste (Gv 5, 43). Maestro di umiltà è Cristo, che umiliò se stesso, fattosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (cf. Fil 2, 8). E non perde certo la divinità quando ci insegna col suo esempio l'umiltà: in quella egli è uguale al Padre, in questa è simile a noi. E in quanto è uguale al Padre ci ha creati perché esistessimo, in quanto è simile a noi ci ha redenti perché non ci perdessimo.
[Non promozione ma degnazione.]
4. La folla gli tributava questo omaggio di lode: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele. Quale atroce tormento doveva soffrire l'animo invidioso dei capi dei Giudei, nel sentire una così grande moltitudine acclamare Cristo come proprio re! Ma che cos'era mai per il Signore essere re d'Israele? Era forse una gran cosa per il re dei secoli diventare re degli uomini? Cristo non era re d'Israele per imporre tributi, per armare eserciti, per debellare clamorosamente dei nemici: egli era re d'Israele per guidare le anime, per provvedere la vita eterna, per condurre al regno dei cieli coloro che credono, che sperano, che amano. Che il Figlio di Dio quindi, uguale al Padre, il Verbo per mezzo del quale sono state create tutte le cose, abbia voluto essere re d'Israele, non fu una elevazione per lui ma un atto di condiscendenza verso di noi: fu un atto di misericordia non un accrescimento di potere. Colui infatti che in terra fu chiamato re dei Giudei, è in cielo il Signore degli angeli.
5. Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra. Qui vien narrato con grande concisione ciò che gli altri evangelisti raccontano con ricchezza di particolari (cf. Mt 21, 1-16; Mc 11, 1-11; Lc 19, 29-48). Giovanni conferma questo fatto con una testimonianza profetica, per sottolineare che i maligni capi dei Giudei non comprendevano che in lui si adempivano le profezie da essi conosciute: Gesù trovato un asinello, vi montò sopra, secondo quel che è scritto: Non temere, figlia di Sion: ecco, il tuo re viene, seduto su di un puledro d'asina (Gv 12, 14-15; Zach 9, 9). Fra quel popolo c'era la figlia di Sion (Sion è lo stesso di Gerusalemme); ripeto: in mezzo a quel popolo, cieco e riprovato, c'era tuttavia la figlia di Sion alla quale erano rivolte le parole: Non temere, figlia di Sion: ecco, il tuo re viene, seduto su di un puledro d'asina. Questa figlia di Sion, cui era rivolto l'oracolo profetico, era presente in quelle pecore che ascoltavano la voce del pastore; era presente in quella moltitudine che con tanta devozione cantava le lodi del Signore che veniva, e che lo seguiva compatta. Ad essa il profeta diceva: Non temere, cioè riconosci colui che acclami, e non temere quando lo vedrai soffrire; perché il suo sangue viene versato per cancellare il tuo peccato e ridonarti la vita. Il puledro di asina sul quale nessuno era ancora salito (è un particolare che troviamo negli altri evangelisti), simboleggia il popolo dei gentili, che ancora non avevano ricevuto la legge del Signore. E l'asina (ambedue i giumenti furono portati al Signore) simboleggia il suo popolo proveniente dalla nazione d'Israele, non certo quella parte che rimase incredula ma quella che riconobbe il presepe del Signore.
6. Sulle prime, i suoi discepoli non compresero questo, ma quando Gesù fu glorificato - cioè quando egli manifestò la potenza della sua risurrezione - si ricordarono che queste cose erano state scritte di lui, e queste gli avevano tributato (Gv 12, 16), cioè non gli avevano tributato se non quanto di lui era stato scritto. Ripensando infatti alla luce delle Scritture le cose che si realizzarono tanto prima che durante la passione del Signore, si accorsero pure che egli si era seduto sul puledro dell'asina proprio come era stato predetto dal profeta.
7. La folla, che era con lui quando aveva chiamato Lazzaro dal sepolcro e lo aveva risuscitato dai morti, gli dava testimonianza. E anche perché aveva udito che egli aveva fatto questo miracolo, la folla gli andò incontro. I farisei, allora, si dissero: Vedete che non riusciamo a nulla! Ecco, il mondo gli è corso dietro (Gv 12, 17-19). La folla turbava la folla. Perché, o folla cieca, provi invidia nel vedere che il mondo va dietro a colui per mezzo del quale il mondo è stato fatto?
[Il bacio di pace sigillo dell'unica fede.]
8. C'erano alcuni gentili tra i pellegrini venuti per adorare durante la festa. Costoro avvicinarono Filippo, che era di Betsaida di Galilea, e gli chiesero: Signore, vogliamo vedere Gesù. Filippo va a dirlo ad Andrea; Andrea e Filippo vanno a dirlo a Gesù (Gv 12, 20-22). Sentiamo cosa rispose il Signore. Ecco che i Giudei vogliono ucciderlo, mentre i gentili vogliono vederlo; e di questi gentili fanno parte anche quei Giudei che lo acclamano gridando: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele (Gv 12, 13). Circoncisi e incirconcisi, erano come due pareti di opposta provenienza, convergenti mediante il bacio di pace nell'unica fede in Cristo. Ascoltiamo dunque la voce della "pietra angolare".Gesù risponde loro: E' venuta l'ora in cui il Figlio dell'uomo deve essere glorificato (Gv 12, 23). Qualcuno potrebbe pensare che egli si considera già glorificato, per il fatto che i pagani volevano vederlo. Non è così. Egli prevedeva che i gentili d'ogni nazione avrebbero creduto in lui dopo la sua passione e risurrezione; perché, come dice l'Apostolo,la cecità parziale d'Israele durerà finché entrerà la pienezza delle genti (Rm 11, 25). Prendendo quindi occasione da questi gentili che volevano vederlo, annuncia la futura pienezza delle genti; e assicura che la sua glorificazione celeste, in seguito alla quale le genti crederanno in lui, è ormai imminente. Così era stato predetto: Innalzati sopra i cieli, Dio, e su tutta la terra spandi la tua gloria (Sal 107, 6). Questa è la pienezza delle genti di cui parla l'Apostolo: La cecità parziale d'Israele durerà finché entrerà la pienezza delle genti.
[Glorificazione attraverso l'umiliazione.]
9. Ma bisognava che la sublime grandezza della glorificazione fosse preceduta dall'umiliazione della passione. Perciò il Signore aggiunge: In verità, in verità vi dico: se il granello di frumento non cade in terra e vi muore, resterà solo; se, invece, muore, porta molto frutto (Gv 12, 24-25). Parlava di se stesso. Era lui il granello che doveva morire per moltiplicarsi: sarebbe morto per la incredulità dei Giudei, si sarebbe moltiplicato per la fede dei popoli.
10. E invero, esortandoci a seguire le orme della sua passione, egli dice: Chi ama la propria anima, la perderà (Gv 12, 25). Il che può intendersi in due modi: Chi ama perderà,cioè: Se ami la tua anima, devi essere disposto a perderla; se vuoi conservare la vita in Cristo, non devi temere la morte per Cristo. E in altro modo si può intendere la fraseChi ama la propria anima, la perderà: cioè non amarla se non vuoi perderla, non amarla in questa vita se non vuoi perderla nella vita eterna. Questa seconda interpretazione ci sembra più consona al senso del brano evangelico. Il seguito infatti dice: e chi odia la propria anima in questo mondo, la conserverà per la vita eterna (Gv 12, 25). La frase precedente, quindi, va così completata: Chi ama la propria anima in questo mondo, costui la perderà; chi invece odia la propria anima, sempre in questo mondo, questi la conserverà per la vita eterna. Solenne e meravigliosa affermazione, che dice come dipenda, la salvezza o la dannazione dell'uomo, dall'amore o dall'odio che egli porta alla sua anima. Se ami in modo sbagliato, tu odi; se odi in senso buono, ami. Beati coloro che sanno odiare la propria anima in maniera da salvarla, evitando, per un malinteso amore, di perderla. Ma per carità non ti venga in mente di sopprimerti, intendendo così l'odio che devi portare alla tua anima in questo mondo. Così intendono certuni, malvagi e perversi, e tanto più crudeli e scellerati omicidi in quanto uccidono se stessi: essi cercano la morte gettandosi nel fuoco o nelle acque, o precipitandosi dall'alto. Non è questo che insegna Cristo. Anzi, al diavolo che gli suggeriva di precipitarsi dall'alto, rispose: Indietro, Satana! sta scritto: Non tenterai il Signore Dio tuo (Mt 4, 7). A Pietro al contrario, indicandogli con qual morte avrebbe glorificato Dio, disse: Quando eri giovane ti cingevi e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio stenderai le braccia e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vorrai (Gv 21, 18-19). Parole queste che abbastanza chiaramente ci indicano che chi segue le orme di Cristo deve lasciarsi mettere a morte dagli altri, non deve essere lui a darsela. Quando però si pone l'alternativa, di trasgredire il comandamento di Dio o di morire sotto la spada del persecutore, dovendo scegliere tra le due cose, uno scelga allora la morte per amore di Dio piuttosto che la vita offendendo Dio; così avrà in senso giusto odiato la propria anima in questo mondo al fine di salvarla per la vita eterna.
11. Chi mi vuol servire mi segua (Gv 12, 26). Che vuol dire mi segua, se non mi imiti? Cristo infatti soffrì per noi - dice l'apostolo Pietro - lasciandoci un esempio, affinché seguiamo le sue orme (1 Pt 2, 21). Questo è il senso della frase: Chi mi vuol servire mi segua. E con quale frutto, con quale ricompensa, con quale premio? E dove sono io, - dice - ivi sarà anche il mio servo. Amiamolo disinteressatamente, per ottenere, come ricompensa del nostro servizio, di essere con lui. Come si può star bene senza di lui, o male con lui? Ascolta che parla in maniera più esplicita: Se uno mi serve, il Padre mio lo onorerà (Gv 12, 26). Con quale onore, se non con quello di poter essere suo figlio? Questa frase: Il Padre mio lo onorerà, appare come una spiegazione di quella precedente: Dove sono io, ivi sarà anche il mio servo. Quale maggiore onore può ricevere il figlio adottivo di essere là dove è il Figlio unico, non uguagliato nella sua divinità, ma associato a lui nell'eternità.
[Non i propri interessi ma quelli di Cristo.]
12. Piuttosto dobbiamo chiederci cosa si intende per servire Cristo, servizio al quale viene riservata una così grande ricompensa. Se per servire Cristo intendiamo provvedere alle sue necessità corporali, cucinare e servirlo a tavola, versargli da bere e presentargli la coppa, ebbene questo è quanto fecero coloro che poterono godere della sua presenza fisica, come Marta e Maria allorché Lazzaro era uno dei commensali. In questo senso, però, anche il perfido Giuda servì Cristo. Egli infatti teneva la borsa; e, quantunque fosse solito rubare sacrilegamente il denaro che vi metteva dentro, tuttavia provvedeva il necessario (cf. Gv 12, 26). Perciò, quando il Signore gli disse: Ciò che devi fare, fallo al più presto, alcuni credettero che il Signore gli avesse ordinato di preparare il necessario per la festa, o di dare qualche elemosina ai poveri (cf. Gv 13, 27-29). Il Signore non pensava certo a siffatti servitori quando diceva: Dove sono io, ivi sarà anche il mio servo, e: se uno mi serve, il Padre mio lo onorerà. Vediamo infatti che in tal senso Giuda era servitore di Cristo, condannato e non onorato. Ma perché cercare altrove cosa si deve intendere per servire Cristo, quando possiamo apprenderlo da queste medesime parole? Dicendo infatti: chi mi vuol servire, mi segua, egli ha voluto farci intendere che chi non lo segue non lo serve. Servono dunque Gesù Cristo, coloro che non cercano i propri interessi ma quelli di Gesù Cristo (cf. Fil 2, 21). Mi segua vuol dunque dire: segua le mie vie, non le sue, così come altrove sta scritto: Chi dice di essere in Cristo, deve camminare così come egli camminò (1 Io 2, 6). Così, ad esempio, se uno porge il pane a chi ha fame, deve farlo animato da misericordia, non per vanità, non deve cercare in quel gesto altro che l'opera buona, senza che sappia la sinistra ciò che fa la destra (cf. Mt 6, 3), di modo che l'opera di carità non debba essere sciupata da secondi fini. Chi opera in questo modo, serve Cristo; e giustamente sarà detto di lui: Ogni volta che l'avete fatto ai più piccoli dei miei fratelli, lo avete fatto a me (Mt 25, 40). Chi compie per Cristo, non solamente opere di misericordia corporali, ma qualsiasi opera buona [e qualsiasi opera è buona se tiene conto del principio che il fine di tutta la legge è Cristo, a giustizia di ognuno che crede (Rm 10, 4)], egli è servo di Cristo, specie se giungerà fino a quella grande opera di carità che consiste nell'offrire la propria vita per i fratelli, che equivale a offrirla per Cristo. Perché anche questo dirà riferendosi alle sue membra: Quanto hai fatto per essi, lo hai fatto per me. A questo riguardo egli stesso si degnò farsi e chiamarsi servo, quando disse: Come il Figlio dell'uomo non venne per farsi servire ma per servire, e dare la sua vita per molti (Mt 20, 28). Donde ne segue che ciascuno è servo di Cristo per quelle medesime opere per cui anche Cristo è servo. E chi serve Cristo in questo modo, il Padre suo lo onorerà con quel singolare onore di accoglierlo con suo Figlio in una felicità senza fine.
13. Sicché, o fratelli, quando sentite il Signore che dice: Dove sono io, ivi sarà anche il mio servo, non vogliate pensare solamente ai vescovi e sacerdoti degni. Anche voi, ciascuno a suo modo, potete servire Cristo, vivendo bene, facendo elemosine, facendo conoscere a quanti vi è possibile il suo nome e il suo insegnamento. E così ogni padre di famiglia si senta impegnato, a questo titolo, ad amare i suoi con affetto veramente paterno. Per amore di Cristo e della vita eterna, educhi tutti quei di casa sua, li consigli, li esorti, li corregga, con benevolenza e con autorità. Egli eserciterà così nella sua casa una funzione sacerdotale e in qualche modo episcopale, servendo Cristo per essere con lui in eterno. Molti come voi, infatti, hanno compiuto il supremo sacrificio, offrendo la propria vita. Tanti che non erano né vescovi né chierici, tanti fanciulli e vergini, giovani e anziani, sposi e spose, padri e madri di famiglia, hanno servito il Cristo fino alla suprema testimonianza del sangue; e poiché il Padre onora chi serve il Cristo, hanno ricevuto fulgidissime corone.

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Dai «Discorsi» di sant'Andrea di Creta, vescovo
(Disc. 9 sulle Palme; PG 97, 990-994)


Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele

Venite, e saliamo insieme sul monte degli Ulivi, e andiamo incontro a Cristo che oggi ritorna da Betània e si avvicina spontaneamente alla venerabile e beata passione, per compiere il mistero della nostra salvezza.
Viene di sua spontanea volontà verso Gerusalemme. E' disceso dal cielo, per farci salire con sé lassù «al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare» (Ef 1, 21). Venne non per conquistare la gloria, non nello sfarzo e nella spettacolarità, «Non contenderà», dice, «né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce» (Mt 12, 19). Sarà mansueto e umile, ed entrerà con un vestito dimesso e in condizione di povertà.
Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione, e imitiamo coloro che gli andarono incontro. Non però per stendere davanti a lui lungo il suo cammino rami d'olivo o di palme, tappeti o altre cose del genere, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai suoi piedi le nostre persone. Accogliamo così il Verbo di Dio che si avanza e riceviamo in noi stessi quel Dio che nessun luogo può contenere. Egli, che è la mansuetudine stessa, gode di venire a noi mansueto. Sale, per così dire, sopra il crepuscolo del nostro orgoglio, o meglio entra nell'ombra della nostra infinita bassezza, si fa nostro intimo, diventa uno di noi per sollevarci e ricondurci a sé.
Egli salì verso oriente sopra i cieli dei cieli (cfr. Sal 67, 34) cioè al culmine della gloria e del suo trionfo divino, come principio e anticipazione della nostra condizione futura. Tuttavia non abbandona il genere umano perché lo ama, perché vuole sublimare con sé la natura umana, innalzandola dalle bassezze della terra verso la gloria. Stendiamo, dunque, umilmente innanzi a Cristo noi stessi, piuttosto che le tuniche o i rami inanimati e le verdi fronde che rallegrano gli occhi solo per poche ore e sono destinate a perdere, con la linfa, anche il loro verde. Stendiamo noi stessi rivestiti della sua grazia, o meglio, di tutto lui stesso poiché quanti siamo stati battezzati in Cristo, ci siamo rivestiti di Cristo (cfr. Gal 3, 27) e prostriamoci ai suoi piedi come tuniche distese.
Per il peccato eravamo prima rossi come scarlatto, poi in virtù del lavacro battesimale della salvezza, siamo arrivati al candore della lana per poter offrire al vincitore della morte non più semplici rami di palma, ma trofei di vittoria. Agitando i rami spirituali dell'anima, anche noi ogni giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d'Israele».

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DOMENICA DELLE PALME. 

Dalle Omelie di san Giovanni Crisostomo

In Mt., hom. 66, 1-2. PG 57, 627-628. 


Gesù era venuto spesso a Gerusalemme; mai però vi era entrato in modo così solenne. Quale ne è il motivo? All'inizio del suo ministero egli non era molto conosciuto e a quel tempo neppure era prossima l'ora della sua passione. Gesù si mescolava alla folla senza alcuna distinzione, cercando anzi di passare inosservato. Qualora si fosse manifestato troppo presto, non avrebbe riscosso ammirazione, ma l'ira degli avversari sì sarebbe scatenata ben più violenta. Più tardi, invece, quando la croce è alle porte, dà prova sufficiente del suo potere, dispiega in modo più lampante la sua grandezza e compie con maggiore solennità ogni cosa, anche se ciò inasprirà la parte avversa. Ripeto che egli avrebbe potuto fare ciò sin dall'inizio della sua predicazione, ma non sarebbe stato né utile né vantaggioso.



Non considerare la menzione dell'asina poco importante. Quelli che si lasciarono portare via i loro animali, erano povera gente, forse dei contadini. Chi li persuase a non opporsi? Che dico? Neppure aprirono bocca. Insomma, perché acconsentirono oppure tacendo dettero via l'asina?



Nell'uno e nell'altro caso il comportamento di costoro è ugualmente ammirevole: sia lo starsene zitti quando vengono portate via le loro bestie; sia il non opporre resistenza dopo aver chiesto e avuto la spiegazione dagli apostoli: Il Signore ne ha bisogno. E sono tanto più ammirevoli, perché non vedevano il Signore, ma solo i suoi discepoli.



Questo episodio ci insegna che Gesù avrebbe potuto ridurre al silenzio e atterrare i Giudei che stavano per impadronirsi di lui, ma non volle farlo. Non solo, ma in quella circostanza dà anche un altro insegnamento ai discepoli: essi dovranno senza opporsi fare quanto egli chiederà loro, foss'anche la vita stessa. Se quegli sconosciuti hanno ceduto obbedienti, essi dovranno abbandonare tutto senza recriminazioni.



Allorché Gesù entra in Gerusalemme cavalcando un'asina, ci insegna l'umiltà e la moderazione. Egli non viene solo a compiere le profezie e a seminare la parola di verità, ma anche a istituire un modello di vita che si limiti al necessario e si ispiri ad un comportamento onesto.



Ecco perché, quando nasce, non cerca un magnifico palazzo, e neppure una madre ricca e illustre, ma si contenta dell'umile sposa di un carpentiere; nasce in una grotta e viene deposto in una mangiatoia. Per discepoli non sceglie né retori e dotti, né ricchi e nobili ma povera gente di modesta estrazione, del tutto sconosciuta.



Al momento del pasto, a volte si ciba di pane d'orzo, altre volte di quello che manda i discepoli a comprare in piazza, e l'erba gli serve da tavola. Si veste poveramente, come usa la gente del popolo, e non ha neppure una casa. Quando deve spostarsi da un luogo all'altro, fa i viaggi a piedi, tanto da esserne affaticato.



Gesù non ha nessun trono per sedersi né cuscino per posare il capo. Che sia sulla montagna o presso un pozzo - come quando era solo a parlare con la Samaritana - si mette semplicemente a sedere per terra.



Ci dà l'esempio della misura anche nei nostri dolori e nella nostra tristezza: quando piange, versa poche lagrime, in modo che indica i limiti da non oltrepassare e l'equilibrio, da mantenere.



Ecco un altro esempio di semplicità: prevedendo che molti, deboli fisicamente, non potranno sempre viaggiare a piedi, insegna con il suo esempio la moderazione: non è necessario andare a cavallo, non c'è bisogno di muli aggiogati, ma basta un'asina, e così non si eccede oltre il necessario.



Ma vediamo più da vicino questa profezia che si realizza in parole e in atti. Quale è dunque? Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo re viene a te, mite, seduto su un'asina, con un puledro figlio di bestia da soma. (Cf Zc 9,9) Gesù non guida carri da guerra, come gli altri re; non impone tributi, non avanza sconvolgente scortato da un corpo di guardia, ma presenta d'ora in poi il modello della mitezza e della moderazione.


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Domenica delle Palme. 

Dai Discorsi di san Proclo.

Oratio IX, In ramos Palmarum, 1-3.4. PG 65, 772-777 


Cari fratelli, il tempo liturgico che stiamo vivendo chiede un impegno maggiore da noi: ci vuole più ferventi, più disponibili, più solleciti nel recarci all'incontro con il re venuto dal cielo. Questo stesso gioioso messaggio annunziava san paolo quando diceva: Il Signore è vicino, non angustiatevi per nulla.



Accogliamo il nostro Dio con acclamazioni degne di lui. Gridiamo con la folla: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele! Colui che viene: l'espressione è giusta, perché il Signore non smette di venire, pur senza mai essere assente. Il Signore è vicino a quanti lo invocano. Perciò, benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!



Tutto quello che accade in questo giorno ha valore di simbolo. Tutte queste manifestazioni indicano in figura che avanza un re. Gli abitanti delle città di questo mondo, quando aspettano l'arrivo del loro governatore, spianano la strada, sospendono corone ai portici; l'aspetto della città cambia, il palazzo reale è ripulito da cima a fondo. In vari punti si organizzano cori che cantino le lodi del re. Da questi segni si riconosce che in un dato paese si avvicina un grande della terra.



Applichiamoci anche noi a un lavoro analogo, anzi a un'impresa ben più gloriosa: le celebrazioni della nostra città spirituale devono essere all'altezza della trascendenza del suo re celeste.



Il re umile e mansueto è alle porte. Nei cieli egli cavalca sui cherubini, quaggiù è seduto su un puledro di asina. Prepariamo la dimora della nostra anima. Togliamo le ragnatele, cioè ogni rancore contro i fratelli. Non si trovi in noi la polvere delle critiche, ma laviamo abbondantemente tutto con l'acqua dell'amore. Livelliamo le gobbe dell'inimicizia, inghirlandiamo i portici delle nostre labbra con i fiori della bontà. Uniamoci alle acclamazioni della folla: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!



Chi vorrebbe tacere? Chi non ammirerà questa folla, avversa ai Giudei e amica dei discepoli di Cristo? Acclamano il Signore come re, lui che non porta nessuna visibile insegna di una dignità regale: non cocchio laminato d'oro, non bianchi cavalli bardati; nessuna traccia della pompa che i re di questo mondo sogliono sfoggiare nei loro cortei. Qui non ci sono né armi né scudi né alabarde; neppure mantelli di porpora né prestigiosi scudieri dalle chiome fluenti; tanto meno sfilano dignitari o parate di elefanti.



La folla non contempla nulla di ciò, anzi vede proprio il contrario: un volgare, meschino puledro, senza sella, preso a prestito per l'occasione. Tutto il corteo si riduce agli undici apostoli, perché Giuda già ordisce il tradimento.



Le folle vedono questa grande povertà di Gesù, eppure sono come rapite in cielo e con gli occhi dello spirito contemplano le realtà dell'alto. Si uniscono ai cori angelici e si valgono delle voci dei serafini per acclamare come loro: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re di Israele!



È aspro e pungente per i sacerdoti e i farisei udire le folle che acclamano un re di Israele. Eppure, volenti o no, sono costretti a udirlo. Avevano tacciato Gesù di possedere un demonio, ed ecco la folla proclamarlo re. Chi le ha suggerito quel titolo? Chi le ha messo in mente tale lode? Chi ha posto rami di palma nelle loro mani? Chi improvvisamente ha radunato tutta questa gente, guidandola come sotto un unico capo? Chi ha insegnato questo canto unanime?



È una grazia discesa dall'alto, una rivelazione dello Spirito Santo. ecco perché gridano con libera franchezza: Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re di Israele.



La folla forma il corteo terreno del Signore, gli angeli quello celeste. I mortali sono simili agli immortali, i pellegrini della terra già partecipano ai cori celesti.



Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re di Israele. Essi rifuggono i farisei, hanno in orrore i sommi sacerdoti.



Cantando una melodia degna dell'Altissimo, rallegrano la creazione, santificano l'aria. I morti trasaliscono, il cielo si apre, rifiorisce il paradiso, gli altri mortali sono stimolati a emulare un simile fervore.



Prendiamo anche noi rami di palma e usciamo incontro al Signore. Diciamo ai prìncipi dei sacerdoti: Non siete voi quelli che domandano se questi è il figlio del carpentiere? Egli è il Dio forte e potente. Correte, affrettatevi; unitevi alla folla e cantate in onore di colui che ha risuscitato Lazzaro: Benedetto colui che viene nel nome del Signore.



A lui la gloria nei secoli. Amen.